MATTA: I GESTI DELLA PITTURA

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«L’arte consiste nel dare il sentimento di una grande profondità spaziale con quasi niente. La vivacità più sfolgorante di colori è data dalla polvere delle ali di farfalle».

Roberto Sebastian Matta Echaurren è uno degli artisti più rappresentativi del Novecento, è pittore, scultore, architetto e poeta. Una personalità polivalente che emerge in ogni gesto delle sue opere; perché sì, proprio di gesti si tratta: gesti dell’inconscio, della mente, dell’uomo, che Matta mette in scena con colori accesi e provocanti.

Matta è un provocatore. Dalì, Breton, Garcia Lorca sono le grandi personalità che incontra nel corso dei suoi numerosi viaggi. Breton lo accoglie all’interno del suo progetto surrealista, ma la personalità ribelle dell’artista cileno fa sì che venga allontanato dopo poco tempo. Il cambiare spesso città mostra l’irrequietezza dell’artista, incapace di trovare un punto fermo, sia geografico che esperienziale. Matta sembra un Ulisse dei nostri tempi, condannato a varcare continuamente confini di ogni sorta. Gira il mondo passando per le grandi città della cultura, da Parigi a Madrid, e poi New York, Chicago, Milano, Venezia e Roma. È la Roma povera che lo attira particolarmente e che imprime un’impronta indelebile sul suo stile, la Roma che influenzerà la serie dei suoi dipinti di paesaggi e nature.

Grandi quadri ad olio su tela, come Le Lumière de l’honni (1963-65) o Mind Kind (1979), esprimono l’eccentrico egocentrismo di un artista che è in grado di far parlare i colori, i segni e le figure. Quest’ultime non sono mai ben definite, si lasciano leggere dall’immaginazione più sfrenata, senza il timore di un’interpretazione errata; forse è proprio a causa di questa libertà di pensiero in opera che l’artista lascia molti quadri senza titolo.

Le prophéteur, olio su tela del 1954, è un esempio interessante per ciò che riguarda la capacità di “vedere” dell’immaginazione: sembra, infatti, la scena di un rito sacrificale, ma, in fondo, anche questa è solo questione di interpretazione. Accanto alla forte energia sprigionata dalla luce dei suoi dipinti, accanto a rappresentazioni senza la censura della logica, accanto ad altre che inscenano lo spazio mentale, Matta non dimentica di lanciare provocazioni politico-satiriche. Non mancano raffigurazioni ibride, totem-insetti, e un pizzico di ironia, come nel caso di Cold Cats (Gatti freddi), opera che esprime l’intento dell’artista di giocare con l’altra espressione americana di hot dogs (Cani caldi).

Insomma, Sebastian Matta incarna l’emblema dell’artista irregolare, che ha un linguaggio decisamente personale ed estremamente creativo. Probabilmente le sue opere portano il segno della sua estrema volubilità: esse sono il frutto di una vita colma di eventi personali, culturali ed esperienziali che hanno portato l’artista ad essere conosciuto e stimato proprio per tale ricchezza. Il passare da una parte all’altra del mondo, l’allacciare rapporti con personalità quali Dalì, Neruda, Fontana, Peggy Guggenheim, Guttuso, lo sposarsi quattro volte ed essere al contempo politico, pittore, poeta e scultore. Tutti  questi avvenimenti contribuiscono a considerare Matta come un artista tout court, il simbolo dell’artista avventuriero che non ha limiti né confini, sempre pronto ad accrescere la nobiltà artistica della sua anima.

MATTA. UN SURREALISTA A ROMA

Auditorium Parco della Musica, 16 marzo – 20 maggio 2012,

a cura di Claudia Salaris,

in collaborazione con Fondazione Echaurren,

foto Roberto Sebastian Matta, Le prophéteur, 1954.

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Autore

Cristiana De Santis

«Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciare dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare avanti per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo». Antonio Gramsci, Lettere dal carcere.

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