L’USIGNOLO DELLA DANIMARCA

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 “Today is gonna be the day, you hear somebody say,
We need you wide awake.
You hear the moments kick and play.
The order of the day
is hollering your way”

[Agnes Obel – Just so]

18 Novembre 2011, Teatro Palladium, Romaeuropa Festival

Martin John Henry: Chitarra Acustica/Voce

Evening Hymns

Jonas Bonnetta: Chitarra Elettrica/Voce

Sylvie Smith: Basso Elettrico/Cori

 Agnes Obel: Pianoforte/Voce

Anne Müller: Violoncello/Chitarra Acustica/Melodica/Cori

Gilliam Fleetwood: Arpa/Cori

Venerdì 18 Novembre, al Teatro Palladium, il Romaeuropa Festival ha presentato il secondo concerto a Roma di Agnes Obel, artista di origini danesi che da anni vive a Berlino, attirata dal mondo musicale della capitale tedesca.

E’ davvero un peccato che in Italia sia praticamente una sconosciuta. Il suo album di debutto Philharmonics ha vinto due dischi di platino nella sua Danimarca e in brevissimo tempo ha scalato le classifiche anche in Belgio, Francia, Germania e persino negli Stati Uniti, dove ha raggiunto la notorietà grazie alla settima stagione della serie tv Grey’s Anathomy, nella quale è possibile ascoltare Riverside, uno dei suoi più celebri brani.

Il primo ad aprire la serata al Palladium è stato Martin John Henry, ex frontman della band scozzese De Rosa. E’ stato poi seguito dal gruppo canadese Evening Hyms. Per la prima volta a Roma, il duo dell’Ontario (Canada) è stato una sorpresa tanto gradita quanto inaspettata poiché sono riusciti a creare un’atmosfera onirica che ha preparato al meglio il pubblico per l’ingresso dell’artista successiva.

Si può dire senza dubbio che in un’epoca dove spesso e volentieri il talento musicale viene confuso con la stravaganza, con l’essere trasgressivi e/o con l’eccesso, Agnes Obel è una manna dal cielo. La cantautrice danese è salita sul palco perfettamente in orario, quasi in punta di piedi, timidamente, accompagnata da altre due musiciste di Berlino, Gilliam Fleetwood (arpa e controcanto) e Anne Müller (violoncello, chitarra acustica, melodica e controcanto). Non appena si sono abbassate le luci, in sala è sceso un silenzio surreale, e subito è iniziata la musica con il brano strumentale pianoforte e violoncello Falling, Catching eseguito impeccabilmente.

Con il proseguire della serata, il pubblico si è lasciato sempre più conquistare, non solo dalla delicatezza della voce di Agnes (praticamente un usignolo) e da come si sposasse bene con l’eleganza e la semplicità del piano, ma anche dalla sua dolcezza, dal suo sorriso sincero, a tratti, imbarazzato, e da come scherzava con le sue due amiche Anne e Gilliam, quasi stessero suonando in un luogo a loro familiare e non di fronte ad una platea piena. Difficile non lasciarsi emozionare per come, prima di cantare Over the Hill, la cantautrice, con un inglese molto accentato, abbia ammesso timidamente la sua vulnerabilità in quanto è un pezzo che le ricorda un periodo molto duro della propria vita. La serata è proseguita in questo clima rilassato e intimo, passando per le canzoni del suo album (su tutte Just so e Sons and Daughters), ma anche per cover di artisti del calibro di Elliott Smith e John Cale. Dopo un’ora e mezza di esibizione e ben due bis, si è conclusa una serata veramente unica.

 

 

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