L’ARTE DEL TRIO – Brad Mehldau Trio

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BRAD MEHLDAU TRIO

Brad Mehldau – pianoforte
Larry Grenadier – contrabbasso
Jeff Ballard – batteria 

Dove: Auditorium Parco della Musica

 Quando: 12 Marzo  2012

 Info:  Brad Mehldau Official Site

Ascolta:
Exit music (for a film)
Resignation
All the things you are

Nel jazz tradizionale la formula del trio è quella sicuramente più acclamata, imitata e seguita, anche nella musica rock. Non fa eccezione un pilastro del genere come Brad Mehldau, identificato molto spesso come l’erede naturale di Bill Evans. Nonostante non apprezzi molto questo confronto, il suo stile, per certi versi unico e personale, ricalca quell’inconfondibile approccio fatto di raffinatezza armonica, ricerca introspettiva e coralità della polifonia tipica del suo predecessore.

Con queste premesse si presenta in trio con nuovo lavoro, Ode, un’esplorazione quasi completa dell’universo compositivo e dell’improvvisazione. Mehldau lascia quindi le famose cover di brani rock e pop e le sue lunghe digressioni solistiche per proporre un nuovo approccio alla corrente jazzistica americana. In questo senso il concerto è a tratti estremamente prevedibile, a tratti incomprensibile per un ascoltatore medio. Scarsa melodia, nessun passaggio descrittivo o romantico. Sono poche le vere emozioni per chi è abituato ad un approccio commerciale alla musica. Tuttavia, chi ha orecchie attente e capaci di seguire, percepisce quello che caratterizza questo trio: la formidabile capacità di muoversi sinuoso, come un corpo unico. Ogni brano sale e scende di forza con diverse velocità e tempistiche. È un movimento ipnotico, quasi psichedelico, dato che manca una costante precisa anche nelle dinamiche interne dei componenti. Sembra quasi che i tre musicisti respirino insieme sul palco, vivano il pezzo e si sentano a vicenda senza nemmeno guardarsi. Le conseguenze intrinseche sono quelle di non avere mai punti di riferimento, neanche nella più formale separazione di tema e improvvisazione presente nei pezzi: queste due sfaccettature si mischiano e si confondono creando un effetto di elevazione coinvolgente ed di estraniamento costante. A volte si ha l’illusione di capire, ma poi inevitabilmente ci si perde in un intricato percorso decostruttivo dove poco conta la bellezza di colpire l’ascoltatore attraverso la melodia.

È doveroso rendere onore a Mehldau. Sia per i tre bis, sia per il delizioso finale con Knives Out dei Radiohead. E poi perché la sua non è solamente musica. Innanzitutto è una lezione di tecnica, data la sua capacità di andare in assolo con la mano sinistra, ed una lezione di stile, di gusto. Non c’è mai una nota fuori posto, niente esibizionismi. Il cervello elabora, ragiona e le mani agiscono con calma e determinazione.

Non esiste un comportamento da leader carismatico, anche se lo incarna. Rimane silenzioso, non pretende spazio per sé, anzi, lo condivide con gli altri due componenti di egual bravura. Sembra quasi comunicare che nascondersi equivale ad esporsi, perciò, ancora una volta, il moderno desiderio di emergere e primeggiare su chi ci sta accanto rappresenta una chimera in confronto alla costruzione di se stessi attraverso lo scambio con gli altri.

Se ti piaccioni i pianisti jazz come Mehldau, leggi la recensione sul concerto di Hiromi Uehara qui

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Webmaster - Redattore Cinema

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