TdV 7: Andrea Cosentino | Not Here, Not Now

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Il  25 aprile il clown grottesco di Andrea Cosentino sale sul palco del Teatro Palladium,  per vendicare i diritti del teatro contro la macchina performativa dell’immediatezza, costruzione di non-senso dei grandi profitti. Resoconto dell’esperienza di Marina Abramovic, Not Here, Not Now debutterà a giugno presso l’E45 Napoli Fringe Festival.

Not here, not now

Di e con: Andrea Cosentino

Regia: Andrea Virgilio Franceschi

Video: Tommaso Abatescianni

Produzione: Pierfrancesco Pisani

In collaborazione con: Kilowatt Festival / Litta_Produzioni / associazione Olinda / Infinito srl / Teatro Forsennato

25 aprile 2013 – Teatri di Vetro, Palladium, Roma

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Un omino con il paraorecchie e gli occhi chiusi mugugna a lungo il suo disinteresse per il pubblico con strane vocette poco chiare. Quando si decide a guardare gli spettatori, Andrea Cosentino avverte che «questa non è una performance», non è here and now, ma teatro, rappresentazione, there and once. Non è immediatezza, ma rappresentazione; all’opposto, è mediazione di mediazione: «un uomo che ripete cose dette da altri uomini, composte da altri uomini ancora». Il vizio della presenza è condanna a ripetere la propria biografia, i propri comportamenti ossessivi e maniacali, i resti, tutto ciò che non merita di essere raccontato. Con una marionetta di pezza, Cosentino immagina che i suoi spettacoli vengano fuori dall’etica della madre vecchietta che protegge dalla vita e si sacrifica, così come Marina Abramovic, a suo dire, deve «la sua arte di tagli, bruciature, scollature, smagliature» alla rigida educazione sovietica materna. Se è così, quella di Cosentino sarà un’arte di «storielle, cazzatelle», elementi affetti irreversibilmente da un amore tradizionale. Invece noi siamo davanti alla rappresentazione not here, not now. Il presente è il tempo dell’incomprensione, da cui può cominciare il racconto di una storia, o che si può lasciare incompreso, in modo che ritorni con effetti stranianti in ogni formazione futura di senso. Not here, not now è il momento del presente che non si comprende, tra il racconto della sua storia e la variazione comica.

La satira colpisce la larga operazione di mercato dello scorso anno, intorno alla retrospettiva su Marina Abramovic al Moma di New York. In questa mostra venivano riproposte le performance degli anni ’70, eseguite contemporaneamente da giovani attori, opportunamente allenati dalla guru per resistere otto ore al giorno per tre mesi. Lei stessa non si sottraeva alla fatica, con la singolare  vendita di sguardo d’artista, nella performance The artisti is present, immobile, per dare e ricevere uno sguardo vero, diverso per ciascuno. In questa operazione era scomparso il confine tra i comportamenti di mistificazione del pubblico e il travestimento da icona sacra dell’artista. Tutta la fase di allestimento della mostra e lo svolgimento della performance sono state riprese nel documentario Marina Abramovic. The artisti is present di Matthew Akers. A quanto sembra – come Cosentino riporta inorridito – il principio generatore della mostra fu il fatto che la performer, nella sua vita, non avrebbe fatto altro che esperienze, comprendendo qualcosa di portata epocale: le sue esperienze erano spettacoli per gli altri; diviene quindi lecito scambiare lo spettacolo con l’esperienza. È esperienza, non spettacolo, ciò che chiede e dà al pubblico. Questo è un contratto che Cosentino firma all’ingresso del museo, quando accetta di essere filmato ad uso documentario. E qui comincia anche la parte più divertente dello spettacolo: un’invettiva contro il brand, che è un esproprio originario dei fonemi, comprati da qualcuno e tolti a tutti.

A questa colonizzazione della lingua, Cosentino risponde con una serie di video, in cui si traveste da Abramovic e ne esegue la parodia delle performance. Le luci si spengono, l’artista scompare dietro i due schermi montati sul palco, indossa un naso, una treccia e una tunica, per iniziare la riappropriazione comica: Marina Appesovic, Marina Abrasovic solo per ricordarne qualcuna. Ricompare, così travestito, per darci dimostrazioni pratiche del Metodo Abramovic – come dondolare il dito su una fiamma di accendino per ore, ad esempio -. Cambiano ancora i travestimenti, tra pagliacci e drag queen, per sferrare infine l’ultimo colpo alla teoria del nemico: «Theatre is very simple: in theatre, a knife is fake and the blood is ketchup. In performing Art a knife is a knife and  ketchup is blood». Esibizione di un coltello finto, finto suicidio di clown con parrucca e scarpe col tacco, epilogo kitsch di finto spargimento di sangue con spruzzi di vero ketchup.

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Autore

Mariaenrica Giannuzzi

Mariaenrica Giannuzzi (1989) è nata in Puglia e vive a Roma. Laureata in filosofia alla Sapienza sull’idea di storia naturale nella poesia di Paul Celan, la sua ricerca comprende l’uso politico delle scienze, le teorie della biodiveristà e il pensiero femminista (Iaph – Italia). Ama viaggiare per le isole, camminare nei boschi e arrampicarsi.

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