Berlinale 73 | Infinity pool, di Brandon Cronenberg

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Infinity Pool è il terzo e il miglior film finora realizzato da Brandon Cronenberg, le cui doti di nipote-bambino sono evidenti, ma che non ha mai avuto timore di invocare paragoni con il suo famoso padre lavorando nello stesso ambito fantascientifico-corporeo-horror.

Il film si svolge nel paese inventato di Li Tolqa, povero e religiosamente conservatore, che ospita una serie di resort di lusso i cui clienti non sono né l’uno né l’altro. Interpretata da parti della Croazia e dell’Ungheria, Li Tolqa è infusa di una vaga alterità che sta per luoghi di tutto il mondo in cui i turisti esistono in una realtà diversa con regole diverse da quelle dei residenti.

Cronenberg junior ha le sue ossessioni, tra cui l’idea di un mondo elegantemente globalizzato attraversato da un’élite senza scrupoli. Il suo ultimo film, Possessor, un thriller del 2020 con assassini che si scambiano i corpi, si svolgeva in una Toronto alternativa, una capitale aziendale pulsante ma opprimente e generica. Tutto quel commercio ha denaturato la città, lasciando dietro di sé torri di vetro popolate da una casta di aristocratici moderni senza nazione e dal loro seguito.

Li Tolqa di Infinity Pool è effettivamente il luogo in cui quelle stesse persone andrebbero in vacanza. Durante una cena in un ristorante cinese gestito interamente da Li Tolqa, Alban rivela di essere svizzero di origine parigina, mentre Gabi è londinese, anche se ora vivono a Los Angeles, dove lui dirige un giornale chiamato Glass Pane e lei recita in pubblicità. Em, australiano, e James (che ha quel piatto accento americano che Skarsgård ha strappato a una regione che non esiste) appartengono alla stessa casta privilegiata.

Quando si parla di un horror/sci-fi/fantasy/thriller, ci si aspetta un certo livello di simbolismo e astrazione. Ma Infinity Pool ha anche l’impronta canadese di voler indovinare i suoi meccanismi interni quasi più di quanto voglia farvi godere il film.

E poi c’è la domanda finale che assilla una persona: e se il clone fosse in realtà l’originale e tu non fossi più nemmeno la prima versione di te stesso?

 

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