Fabrizio Arcuri | Sweet Home Europa

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Una genesi. Un esodo. Generazioni
di Davide Carnevali
regia Fabrizio Arcuri
con Matteo Angius, Francesca Mazza, Michele di Mauro
musiche composte e eseguite dal vivo Davide Arneodo, Luca Bergia (Marlene Kuntz) + Nico Note
ideazione progetto scenico Andrea Simonetti
sculture sceniche esplosive Riccardo Dondana (3tolo) e Enrico Gaido
assistente alla regia Francesca Zerilli
11 Aprile 2015, Teatro India, Roma
 

 

Sin dal titolo, il testo di Davide Carnevali presenta un’alta dose di ironia e di parodismo. Una rielaborazione personale della realtà socio-politica attuale, in particolare il tema della comunità europea, nella quale risultano problematici i fenomeni derivanti, uno tra tutti l’integrazione, fenomeno dilagante riletto alla luce metaforica della pratica del sesso anale, situazione linguistica buttata lì a mo’ di battuta, che però dietro alla gag di un surreale branzino rivela un atteggiamento dissacrante, da parte dello scrittore, nei confronti della “dolce casa Europa”.

  Inserire un corpo estraneo nel proprio è quello che accade quando si uniscono tra loro popoli appartenenti a diverse tradizioni; i rapporti di potere anziché assottigliarsi si accentuano, causando una falsa integrazione, che miliardi di brillanti discorsi, quale quello di Gorbaciov nel 1988, non riescono a coprire.

  Le macerie sono presenti, sul palco del Teatro India, lungo tutta la durata della riuscita regia di Arcuri; ognuna delle dodici scene di cui è composta la pièce è tesa a rappresentare un anello che non tiene, una falla incelabile della tanto decantata europeizzazione della società, la magnificata “flessibilità”, che dimostra non fare prigionieri ma solo vittime.

  I rapporti di forza del discorso problematicamente anti-europeo articolato nel testo di Carnevali sono personificati in tre non-personaggi: gli attori Matteo Angius, Francesca Mazza e Michele di Mauro interpretano svariate figure umane e altrettante logiche relazionali, che si possono riassumere con le denominazioni: L’uomo, La donna e Gli altri uomini; questi ultimi sono quelli più penalizzati dalle trasformazioni sociali, sono gli immigrati, le ultime generazioni, prese a schiaffi dalle madri, umiliate dai padri, costrette a scappare per seguire un’onda, al di sotto della quale si trova un abisso, quello che si è creato tra i discorsi e il loro reale significato.

  Nella regia di Arcuri le parole sono vuote emissioni di luoghi comuni, le lunghe tirate sul rituale apotropaico e sul metalinguaggio, sull’immagine iconica escatologica ed esegetica, possono interessare forse tre o quattro spettatori intellettualoidi, non sono quelle lo spotlight della rappresentazione.

  Declamati come barzellette, i riferimenti colti vengono difatti ulteriormente dissacrati proiettando i link dai quali sono stati prelevati, invitando il pubblico a googlarli nel remoto caso qualcuno sia interessato.

  No. L’abisso tra i discorsi e il loro significato si colma con le immagini plastiche, con gli effetti scenici iconoclasti presenti ad ogni stacco di montaggio. Il ritmo dello spettacolo Sweet Home Europa è di una precisione estremamente rigorosa: al termine di ogni scena qualcosa scoppia (letteralmente), qualcos’altro crolla, dall’alto sul palco; altri elementi scenici vengono distrutti o mescolati tra loro, altri ancora assurgono a simboli contemporanei: un gommone verso il finale parla più di dieci dialoghi.

  Nel “deserto che avanza” dello scollamento tra religioni e pratiche economiche – costante appare il riferimento al ritorno all’agricoltura e alla pesca -, nella ferita che emerge nel distacco dell’individuo dal proprio territorio di origine, il tono sottilmente pessimista e malinconico del testo e la sua vena polemica – sublimata in un’ironia brillante e autoriflessiva – viene esplicitato con l’espediente dell’inserimento di un concerto live che avviene parallelamente alla rappresentazione scenica, ovvero le musiche composte e eseguite dal vivo di Davide Arneodo, Luca Bergia (Marlene Kuntz) e dall’esplodente voce di Nico Note. Parlando alle viscere dello spettatore, dosato con correttezza, dunque mai invadente, il concerto live è centellinato come il tritolo usato per le sculture sceniche esplosive, lì lì per distruggere l’intero teatro, se potesse, per uscire dalla gabbia della rappresentazione, distruggere ciò che era stato promesso di ricostruire e che invece giace come una sperduta rovina nel “deserto che avanza”: la “dolce casa” Europa.

  Grazie a una regia che dà gran valore al design delle scene, con piattaforme mobili e proiezioni di estratti di testo, l’opera del giovane Carnevali (finalista nel 2011 al Premio Riccione Teatro) è valorizzata e adattata con grazia. Se «L’abisso è un grande mare che si è prosciugato / rivelando le macerie dell’umanità», occorre mostrarle le macerie, senza sfuggire alla critica storica –  come atto di resistenza, etico ed estetico, da praticare non importa in quale terra e sotto quale bandiera, tornando seri dopo un’amara risata.

 

 

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Autore

Redazione

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