SPREGELBURD: Ecole des maîtres @ SHORT THEATRE

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Rafael Spregelburd, drammaturgo, regista, attore, traduttore e scrittore argentino di fama internazionale, presenta il lavoro conclusivo della XXI edizione dell’Ecole des Maîtres, master internazionale di alta formazione per attori, il 22 settembre al Teatro India di Roma. La dimostrazione pubblica ha concluso la rassegna Short Theatre

maestro Rafael Spregelburd
artista associato Manuela Cherubini
diarista Amândio Pinheiro
gli allievi Rita Brϋtt, Robin Causse, ĺris Cayatte, Julien Cheminade, Sofia Correia, Bernardo De Almeida, Sol Espeche, Valentine Gerard, Vincenzo Giordano, Sophie Jaskulski, Alexis Lameda Waksmann, Fabrizio Lombardo, Emilie Maquest, Adrien Melin, Deniz Özdoğan, Aude Ruyter, Giorgia Salari

Ecole des Maîtres

22 settembre, Short Theatre – WEST END @ Teatro India, Roma

 

Cellule teatrali: macchine per produrre catastrofi non è un vero e proprio spettacolo, come hanno tenuto a precisare in apertura di serata il maestro Rafael Spregelburd e l’artista associato del progetto, Manuela Cherubini. È la dimostrazione pubblica finale di Ecole des Maîtres, corso internazionale itinerante di perfezionamento teatrale, giunto alla sua XXI edizione, per la prima volta orfana del suo ideatore, Franco Quadri, scomparso nel2011, a cui i rappresentanti dei partner italiani del progetto hanno rivolto un saluto con l’impegno di proseguire la traccia che il noto critico ha voluto e seguito fino ad ora.

 Il lavoro conclusivo dei 17 attori scelti, con il loro maestro, è una vera e propria sperimentazione basata sull’improvvisazione. Ognuna delle cinque rappresentazioni, quindi, è sostanzialmente diversa dalle altre; si sono svolte e si svolgeranno in ognuno dei quattro paesi partner del progetto: due volte in Italia (CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG), in Belgio (CREPA – Centre de Recherche et d’Expérimentation en Pédagogie Artistique), in Portogallo (Teatro Académico de Gil Vincente) e in Francia (La Comédie de Reims, Centre Dramatique National).  Nell’esperienza formativa, della durata di un mese, il maestro e gli attori non hanno lavorato su un testo preesistente – fatta eccezione per uno degli episodi della dimostrazione -. Durante il corso sono nati dei testi da cui sarebbe potuto derivarne uno nuovo, ma la carenza di tempo a disposizione per memorizzarlo lo ha impedito. Così il gruppo ha preferito la strada difficile, ma certamente più stimolante, dell’improvvisazione. Il maestro Spregelburd considera infatti queste dimostrazioni parte integrante di un percorso formativo che non è da considerarsi concluso, ma che anzi, potrà offrire nuovi spunti, a partire proprio dagli effetti sul pubblico e dalle conseguenti reazioni.

Cellule teatrali, ovvero scene a sé stanti, che hanno però un filo conduttore nel trattare il tema della catastrofe, che si lega al concetto di fine, fine non intesa come conclusione, ma come condizione nuova, diversa da ciò che era prima. In ogni cellula non si arriva a decretare la fine di qualcosa, ma una sua diversa condizione, una sorta di analisi di dinamiche differenti da quelle che abitualmente evocano i concetti di cui si mette in scena la catastrofe.

Così, se ne La fine dell’arte, in uno scoppiettante dialogo – uno dei pochi già stabiliti – tra due professori di un’università francese si indaga sulla diatriba tra l’arte definita tale dai canoni accademici e quella che, invece, pur smuovendo e trascinando gli animi, magari proprio perchè irriverente nei confronti di quei canoni, non è considerata degna di essere chiamata arte, ne La fine dei confini si è spinti a riflettere su quanto è più logico ormai considerarsi parte del mondo più che di una nazione. La fine della storia racconta la sorte di un teatro destinato a diventare un ufficio, mentre La fine del trauma, improvvisa una seduta collettiva terapeutica dove i traumatizzati sembrano essere più sani di chi ha la pretesa di curarli e La fine della nobiltà offre un paradossale e tragicomico quadretto della vacuità e della tristezza di un’aristocrazia decaduta spiritualmente. L’inappetenza è l’unico ispirato a un testo già scritto: Eptalogia di Hieronymus Bosch. Vol. 1: L’inappetenza-La stravaganza-La modestia-La stupidità, volume di Spregelburd, in cui emerge una profonda disgregazione dei rapporti umani in dialoghi in cui non ci si ascolta. Per inscenare, in conclusione,  La fine dell’Europa, maestro e attori si sono divertiti a immaginare una soap opera«perché non sta realmente finendo l’Europa, giusto?», chiede sarcasticamente il maestro al pubblico – prima in versione americana e poi in versione europea, sfruttando con spassosa ironia tutti i cliché del genere televisivo.

 La palpabile intesa sviluppatasi tra i 17 attori, in alcuni momenti è più convincente e riesce anche a superare le difficoltà dovute alle diverse lingue – gli attori sono stati selezionati nei quattro paesi partner del progetto -: un esperimento interessante, che, come anticipato da Spregelburd, dopo appena un mese di lavoro ha solo cominciato a prendere forma e che, nel confronto con il pubblico, può trovare nuovi e stimolanti sviluppi. Un lavoro in linea con ciò che il maestro scrive nell’ Eptalogia di Hieronymus Bosch: «Mi pongo come orizzonte l’incompiutezza. Un sistema di opere che si danno voce e si richiamano, un ordine che si riferisce a se stesso tramite un’intricata rete di grammatiche e riferimenti incrociati, nascosti sotto la pelle del linguaggio».

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