Maria Inversi | Assenzio

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Testo e regia: Maria Inversi
Con: Elena Aimone e Giulia Rupi
 
Teatro Tordinona dal 10 al 15 marzo h 21, 00 (Ven. h 11.00, Dom. h 17, 45)

Assenzio è un dialogo immaginario tra Artemisia Gentileschi (1593 Roma – 1653 Napoli), eccezione singolare nella storia dell’arte barocca, e Marietta (1560 -1590 Venezia), ritrattista anonima, figlia di Giacomo Robusti, il Tintoretto. Le due donne s’incontrano per discutere i segreti della vita e dell’arte.

Nella cronaca le due donne non s’incontrarono mai. Marietta morì prematuramente là dove nacque, a Venezia, tre anni prima che Artemisia nascesse. Dopo l’apprendistato nella bottega del padre Orazio, Artemisia Gentileschi viaggiò cercando da sola i suoi committenti, vendendo i suoi quadri, ritraendo nudi maschili e tutta la sua storia sembra segnata dallo scandalo, a iniziare dal processo contro Agostino Tassi. Il paesaggista di trent’anni più vecchio di lei, divenuto suo amante, fu accusato di stupro da Orazio Gentileschi. Le vicende biografiche delle due donne sono messe in scena in un dialogo serratissimo. Artemisia, artista passionale e ribelle, che ha messo anima e corpo nella pittura, incalza Marietta sul figlio che ha perduto, sul rapporto con il padre e la madre, cortigiana, su come Giacomo cercando di proteggerla l’avesse infine messa “in una gabbia così bella da non poter altro che starci”, sull’uso dei colori, dei tessuti, il vero e il “similmente vero”, “le idee delle donne sugli uomini”.

Per Maria Inversi, autore e regista di questo dialogo, i padri devono insegnare le regole che li hanno resi più liberi delle proprie figlie. I padri devono insegnare a venire traditi. Devono insegnare a trasgredire la preoccupazione di tenere lontane le figlie da rischi ed errori. Artemisia incarna questo distacco cosciente dalla figura predominante del padre. Marietta Tintoretto, invece, incarna la volontà di riconoscere la statura del padre. Marietta è la mano che impara ad essere la stessa mano di un altro. Ma questa volontà, apparentemente limpida, nel dialogo con Artemisia diventa l’occasione per raccontare un’esperienza per niente condivisa dai padri: la generazione. Separarsi dal proprio stesso corpo e, immediatamente dopo, veder morire il neonato è, per Marietta, il momento in cui scompare anche la sua arte. Dopo la morte del figlio mette da parte i colori. Il resto della sua vita è segnato dall’ombra della rinuncia. Anche prima del lutto Marietta preferiva le ombreggiature ai colori violenti, ma, dopo il lutto, un carattere che avrebbe potuto ardere nella materia raffigurata rimane un progetto, un disegno, una bozza. Ben altro è il personaggio di Artemisia. Lei rivendica l’imperfezione, fino al delitto, come elementi da cui si sprigiona l’esercizio dell’arte. Questo esercizio viene da un riconoscimento diverso della statura del padre. Viene dalla coscienza di avere davanti un essere amato e imperfetto, capace anche di esporre una figlia alla tortura, solo per rientrare in possesso di un quadro fatto da lei.

Queste vite immaginarie sono anche piacere e ironia. Sottovoce, in un bar di Trastevere, Artemisia confida trionfante come strappò ad Agostino un pezzo di pelle: “un pezzo di pelle? / si di pelle, un pezzo di pelle dalle palle! / pelle dalle palle?? / sì sì pelle dalle palle! / E poi ne divenisti l’amante?? / E poi ne divenni l’amante!” . L’Artemisia di Elena Aimone è discola e provocatoria. Il suo splendido canto a cappella di “Una furtiva lacrima” apre la scena. Mentre Marietta, interpretata da Giulia Rupi, è il sogno di poter rinascere per scoprire cos’è un amplesso, come cambia il desiderio di un uomo tra le pieghe della sua pelle? Dove si accende? Dove si spegne, e come? Nel canto sommesso Maria Inversi ripone una grande intuizione: che il destino sia fatto dei nostri desideri non compresi, gli stessi che invitano a riscrivere. E a ri-dipingere i maestri, come ha fatto Artemisia, senza diventare l’oggetto della paura maschile più grande, quella di non sopravvivere alla propria morte.

La scena povera e le musiche di Meredith Monk, Ligeti, Reger e Crumb, insieme al Waltz N. 2 di Schostakovich, musica che scandisce questo incontro immaginario, rendono l’interpretazione delle due attrici ancora più complessa e raffinata, in uno spettacolo che rappresenta il conflitto tra vita e arte in molte delle sue sfumature.

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Autore

Mariaenrica Giannuzzi

Mariaenrica Giannuzzi (1989) è nata in Puglia e vive a Roma. Laureata in filosofia alla Sapienza sull’idea di storia naturale nella poesia di Paul Celan, la sua ricerca comprende l’uso politico delle scienze, le teorie della biodiveristà e il pensiero femminista (Iaph – Italia). Ama viaggiare per le isole, camminare nei boschi e arrampicarsi.

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