JOURNEY HOME

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Sei sedie sullo sfondo e un tavolino in legno collocano subito in una dimensione familiare. Questo è tutto l’arredamento di cui hanno bisogno i cinque danzatori slovacchi. In fila come soldati, iniziano a danzare uno alla volta, ognuno col suo stile. Gli altri sono in una vigile attesa.

Si guardano complici, si sfiorano, si prendono in braccio. Si fiutano, si inseguono, vanno a caccia come un branco di lupi. Cosa cercano? La danza. Il movimento che utilizza tutte le giunture e i muscoli del corpo, tutte le potenzialità gestuali e creative. Corrono, saltano, camminano a quattro zampe. Danzano una musica comune, divertiti, divertenti e complici. Si abbracciano in un circolo di solidarietà e folclore. È questo che li unisce: le loro radici, la loro cultura comune.

Tutti vogliono il cappello bavarese. Chi lo porta sembra essere il re: gli altri stanno in ginocchio. Ma un suddito insubordinato si mette un altro cappello e, ironicamente provocatorio, sfila davanti al re. Lo imita, lo prende in giro, in una danza appassionata. Corrono avanti ed indietro sulla scena, per vedere chi arriva primo. Il suddito ruba il cappello al re.

Si sente forte la tradizione, che non vuole però essere preservata: viene trasformata attraverso le singole esperienze, reinterpretandola in base alle diverse personalità dei componenti. Così si crea la “nuova danza tradizionale”, che invita ad andare oltre alle regole, da cui pure si proviene, per trovare il piacere della propria danza, dovuta alla musica interiore.

La musica del violino e del coro dei danzatori è tutto ciò che serve per ritrovare la dimensione comune, corale. Cantano canzoni tradizionali e così ritrovano la complicità che li lega, che li fa essere così attenti l’uno all’altro.

Le loro nitide improvvisazioni sono il frutto di una struttura comune, di un percorso aperto, che porta che ricostruire i pezzi di un’unica performance, la cui struttura è delineata dall’amicizia, dall’energia, dal ritmo, dal sudore, dallo stesso modo d’intendere la danza. Ogni assolo prepara quello successivo. Ogni gesto, disegnato nel dettaglio, pur essendo improvvisato, ha senso e prevedibilità nella forma complessiva dello spettacolo. Proprio come ogni singolo pezzo di un puzzle, che in virtù della sua silhouette, occupa soltanto un certo posto prefissato e si lega ad un altro, in modo univoco.

Ogni danzatore è attento spettatore dell’altro, che a sua volta non desidera che sorprendere. Si è doppiamente coinvolti: ogni gesto è individuale e collettivo. Il pubblico assiste a questo gioco complice di rimandi ironici in una lingua, che pur essendo straniera, riesce ad essere compresa. Questa è la vittoria della danza. Certo, una danza di alto livello, che si è posta un traguardo difficile: l’universalità del linguaggio, raggiunta partendo dalle personalità individuali di un microcosmo culturale.

Lo spettacolo si chiude con una corale danza di carattere. Tutti seduti. Le luci si spengono, una ad una. Buio.

Gli Slovaks, dopo aver appreso e compreso più linguaggi in giro per il mondo, si divertono ora a raccontarci le loro storie, che non si allontanano mai troppo da casa. Amano la danza, e forse per questo, riescono così bene a dircelo.

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Autore

Ludovica Marinucci

Project Manager di Nucleo, mi occupo delle partnership e della promozione del nostro progetto editoriale. Scrivetemi a progetto@nucleoartzine.com

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