Pensieri di Cartapesta, grazie alla gentile concessione di BIM Distribuzione, ha incontrato e intervistato, il 20 settembre 2012, Mark Cousins, regista del documentario The Story of Film: An Odissey. Il film è uscito in 15 episodi, di un’ora ciascuno, nel 2011, sul canale digitale More4 ed è stato poi presentato al Toronto International Film Festival 2011. Si riportano, qui di seguito, alcuni interventi del regista, nati grazie al dibattito svoltosi nella tavola rotonda con tutte le testate giornalistiche presenti.
The story of film: An Odissey, 900′, Europa/America/Asia/Africa 2005-2011,
Regia Mark Cousins
Scritto da Mark Cousins
Prodotto da Hopscotch Films
Distribuzione BIM Distribuzione
Link al trailer su www.bimfilm.com
In uscita in Italia il 25 settembre 2012
«Il cinema è sempre stato la mia vita. Ha reso migliore la mia vita. Vorrei potermi sdebitare in qualche modo».
Mark Cousins è un personaggio affabile e, soprattutto, vitale, dinamico, trasmette energia. Egli paragona il suo film a un sugo: «più si fa cuocere, più si restringe, più si restringe, più il sapore si arricchisce». Stessa cosa il regista ha provato a fare con il linguaggio della sua opera: «solo nel momento in cui comprendi veramente una cosa puoi usare dei termini semplici. I grandi registi iraniani affermano che i loro film sono puri all’esterno e ricchi all’interno». The Story of Film va apprezzato perché ha un profondo obiettivo pedagogico.
Ciò che interessa a Cousins non è parlare del business o dello star system; il suo è piuttosto un tentativo di conoscere l’animo umano. Sebbene la sua opera sia assolutamente corposa, egli afferma che: «The Story of Film non vuole essere un’opera impersonale, non vuole essere un monumento. Questo film è una lettera d’amore al cinema affinché si possa cogliere, attraverso la luce dell’alba a Trastevere o le strade di Calcutta al crepuscolo, qualcosa di personale e poetico da non intendere come parziale».
Due dei registi verso cui Cousins prova un forte sentimento di stima sono D. Lynch e P. T. Anderson. Per quanto riguarda il cinema nostrano, uno degli ultimi film italiani che egli ha apprezzato è Le quattro volte di M. Frammartino. Dalle parole di Cousins si nota una profonda considerazione del cinema italiano; lo definisce, infatti, come «quello più collegato alla società di cui è espressione. Il cinema ha riabilitato l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, gli ha permesso di recuperare la sua dignità. Non si può pensare il cinema italiano a prescindere dal design, dalla pittura, dalla moda, dalla sensualità…»
E alla domanda, qual è, secondo lei, il rapporto che il cinema intrattiene con la storia, con gli eventi? Cousins risponde: «a volte il cinema è in ritardo rispetto al proprio tempo. Se parliamo, ad esempio, degli anni cinquanta, anni in cui c’era la decolonizzazione dell’Africa, il femminismo, la nascita dei primi movimenti giovanili, il cinema era indietro rispetto alla realtà, in America era ancora Doris Day. Negli anni sessanta, invece, il cinema ha fatto un salto rispetto al cambiamento sociale, lo ha cavalcato e lo ha guidato, basti pensare alla Nouvelle Vague in Francia. Il cinema ha detto: “siamo moderni!” A volte il cinema è conservatore, a volte è radicale. Se guardo oggi ad alcuni paesi dell’Africa, in cui il livello di alfabetizzazione è molto basso, penso che il cinema possa diventare veramente un elemento centrale per il cambiamento sociale».
Thanks Mark for your story, The story of Film.