HITCHCOCK UNICUM

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Il punto di partenza di questo piccolo e godibile libretto di S. Zizek può essere soltanto uno: Alfred Hitchcock è un regista dalla classe sopraffina, non un campione che con una semplice scena riesce a dare lustro e importanza a tutta la pellicola girata, ma un vero e proprio fenomeno che riesce a condensare, contemporaneamente, in ogni singolo film, un perfetto spaccato dei nostri stati d’animo e un linguaggio cinematografico assolutamente innovativo.

Tuttavia, si domanda Zizek, questa eccezionalità di Hitchcock non fa, per caso, nascere in noi un atteggiamento iper-interpretativo per il quale ogni cosa, anche la più banale, deve assumere forzatamente un senso? Da qui Zizek parte con la sua disanima di alcuni temi pregnanti della filmografia hitchcockiana.

Nei film di Hitchcock ci troviamo di fronte a una serie di leitmotiv che accadono costantemente, ci basti pensare alle famose scene in cui una persona rimane disperatamente aggrappata alla mano di un’altra; una scena che si ripete in Sabotatori (1943), ne La finestra sul cortile (1954), ne La donna che visse due volte (1958), in Caccia al ladro (1955). Bene, questi motivi formali, secondo Zizek, sono sinthomi nell’accezione lacaniana del termine, ovvero motivi formali che, senza un significato determinato, mostrano «un’elementare matrice  di jouissance, di godimento smodato», proprio nel momento in cui vanno oltre la loro struttura formale. Insomma, le scenemotiv contengono un certo investimento libidico, si perpetuano nei vari film e sono quelle da cui il regista parte per costruire le sue opere: i sinthomi, allora, sono una sorta di tormentata melma in-formale, non costituita, che consente la nascita di un processo creativo tendente all’effimera produzione di una storia del tutto contingente nel suo impianto contenutistico.

La vera capacità di Hitchcock, secondo Zizek, è quella di portare in scena, in modo diretto, lo sguardo mancante, esterno e fantasmatico dell’Altro. La “risignificazione” dell’inquadratura oggettiva in quella soggettiva è processo tipico dei film horror; tuttavia, questa pratica deve essere integrata dallo stesso rovesciamento della ripresa: un passaggio dal lato soggettivo a quello oggettivo. Questo mutamento dell’inquadratura, porta, secondo il parere di Zizek, nello spettatore la consapevolezza che nessun soggetto possa occupare, in quel preciso momento, quel determinato punto di vista. Si determina così la dinamica di una soggettività impossibile e «che contamina l’oggettività»: un esempio su tutti, la faccia dell’investigatore Arbogast in Psyco (1960), mentre si trova nella casa di Bates.

E che dire poi della cura con cui Norman Bates pulisce il bagno dopo l’assassinio di Marion, e della sua attesa nel vedere la macchina della stessa Marion scomparire nell’acquitrino accanto al motel? Che dire dell’apparizione della figura fantasmatica della suora nell’ultima scena de La donna che visse due volte? La rappresentazione cinematografica, verrebbe da dire quasi spontanea, del “Caos preontologico” in cui le cose scompaiono e del “Sublime metafisico” costituiscono alcuni dei misteri dell’arte di Hitchcock, da intendere come (in)-accessibilità a un mondo Altro, a un ordine ontologico differente.

Nel bene o nel male, la riflessione di Zizek ci conduce verso una conclusione implicita: possiamo, nonostante queste considerazioni preliminari, provare a girare un remake di un film di Hitchcock, magari provando a mettere in scena uno dei molteplici finali non girati, oppure una singola scena, oppure, ancora, un film identico a se stesso. Il risultato di tutti questi tentativi sarà sempre fallace, mancante del tocco sublime, o più semplicemente perfetto, del “maestro del brivido”. E’ questa un’apologia? O, meglio, un panegirico? Niente di tutto ciò. La cosa più semplice da fare è costatare quanto Hitchcock, ancora oggi, sia un unicum. Provate a vedere un film di Hitchcock e poi provate a girarne un remake… Buon lavoro!

HITCHCOCK: E’ POSSIBILE GIRARE IL REMAKE DI UN FILM?

di Slavoj Zizek,

traduzione di Damiano Cantone e Lorenzo Chiesa,

edito da Mimesis, Milano-Udine 2011, collana MINIMA/VOLTI.

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Autore

Lorenzo Cascelli

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Estetica nel 2012 con una tesi su "The Tree of Life" di T. Malick e "Melancholia" di L. von Trier presso il dipartimento di Filosofia dell'università "La Sapienza" di Roma. Caporedattore prima di Arte e Libri e poi di Cinema presso Pensieri di Cartapesta, da Aprile 2014 sono direttore editoriale di Nucleo Artzine.

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