Cy Twombly e l’indefinitezza poetica della fotografia

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Cy Twombly, Celtic Boat, Gaeta, 1994. Courtesy Fondazione Nicola Del Roscio

Cy Twombly, Celtic Boat, Gaeta, 1994. Courtesy Fondazione Nicola Del Roscio

 
 
Artista: Cy Twombly
 
Titolo: Cy Twombly, Photographer
 
Curatore: Peter Benson Miller
 
Luogo: American Academy in Rome, Via Angelo Masina 5
 
07 ottobre – 22 novembre 2015

 

Conosciuto più come pittore e scultore che come fotografo, Cy Twombly stupisce in questa retrospettiva allestita in occasione di Fotografia, Festival Internazionale di Roma nella splendida cornice dell’American Academy in Rome, dove sono riunite fotografie scattate dall’artista a partire dagli anni Cinquanta fino al 2011, anno della sua morte. Allievo del Black Mountain College nei suoi anni più ferventi, dal 1957 decise di trasferirsi in Italia, vivendo tra Roma e Gaeta. Questi i luoghi dove le sue fotografie hanno preso forma, secondo quell’intensità poetica che ne contraddistingue la cifra stilistica. Flowers (1980), Fish (2004), Brushes (2005) sono tutte fotografie in cui i soggetti ripresi sono volutamente sfocati. Riusciamo ancora a delinearne i contorni, ma per poco: delicatamente la forma pare dissolversi sotto il nostro sguardo, il fuori fuoco rende gli oggetti ritratti come sospesi tra il presente della visione e il momento ormai perduto a cui quegli scatti appartengono. Rimane l’essenza di ciò che hanno potuto significare, e di ciò che possono ancora oggi, per noi, svelare. In Celtic boat (1994) l’imbarcazione ritratta – che spicca per cromatismo chiaro su fondo nero – è talmente sfocata e poco nitida che appare come qualcosa di differente dal suo essere originario, come fosse una qualche entità zoomorfa, in cui i remi si sono mutati in arti e in cui il corpo allungato sembra procedere lento nell’oscurità che lo circonda. In Lemons (2005), invece, il dettaglio di quattro limoni ravvicinati, dalla spessa e ruvida buccia, ci interroga sulla vera identità dell’oggetto che stiamo osservando: sono davvero limoni quelli che vediamo? A rivelarcelo non è l’inquadratura fotografica o il nostro occhio, ma il titolo, unico riferimento per decifrare il soggetto in questione. Ed è proprio alla parola che Twombly attribuisce un ruolo fondamentale per collocare spazio-temporalmente le proprie fotografie o per sottolinearne aspetti apparentemente meno notati dal punto di vista estetico, come in Pan sculpture (1980), dove la statua di Pan non è data nella sua totalità bensì in maniera parziale e vista di schiena. Così, anche, in Temple (1951) dove i massi disposti in successione in primo piano occupano più della metà della superficie fotografica, mentre in lontananza sullo sfondo si intravedono le tre colonne scanalate di uno dei templi di Selinunte. L’idea di lontananza temporale, e storica, che sia i massi sia le colonne evocano, sono assimilate qui all’idea di frammento: estetico in primis – legato proprio alla composizione fotografica –, poi naturale (le rocce) e archeologico (il tempio). L’attenzione al dettaglio e la volontà a privilegiare punti di vista insoliti, quindi, sono elementi fondamentali nelle fotografie di Twombly, ma che spesso e volentieri creano cortocircuiti di senso tra le immagini e i titoli ad esse attribuiti. In Cemetery (2011), infatti, i fiori colorati che campeggiano al centro della foto alludono alla possibilità di essere in qualsiasi luogo. È il riferimento linguistico contenuto nel titolo poi che ci indica che il piccolo steccato bianco che si intravede sommerso dai fiori straripanti non è di un giardino qualsiasi, ma di un cimitero.

Cy Twombly, Cemetery, Lorient - Saint Barthèlemy, 2011. Courtesy Fondazione Nicola Del Roscio

Cy Twombly, Cemetery, Lorient – Saint Barthèlemy, 2011. Courtesy Fondazione Nicola Del Roscio

Le immagini ci conducono in un continuo andirivieni semantico senza possibilità di soluzione, e ci portano là dove è anche il nostro abbandono estetico, dinnanzi alle fotografie di Twombly. The artist’s shoes (2002) sembra essere la foto-chiave di volta della mostra, e più l’occhio cerca di metterla a fuoco, più si deve arrendere all’evidenza dell’immagine: un paio di scarpe schizzate di tempera – dell’artista, come ci rivela il titolo – evanescenti, che alludono a una presenza-assenza, quasi come fosse Twombly stesso ad essere stato assimilato al suo medesimo processo creativo, dissolvendosi in esso. E con lui, in un certo senso, anche noi.

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Autore

Cristina Palumbo

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