Zero Dark Thirty

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Basato su “resoconti di primo mano di fatti realmente accaduti”- come citano i titoli di testa – Zero Dark Thirty della regista premio Oscar Kathryn Bigelow racconta la storia di Maya, un’agente della CIA che, dopo oltre dieci anni d’indagini, mette a punto e dirige l’operazione che porta i militari statunitensi ad irrompere nel covo di Abbottabad, in Pakistan, dove la donna è convinta si nasconda l’uomo più ricercato al mondo: Osama Bin Laden.

Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelov, USA 2012, 157’

in uscita nelle sale cinematografiche il 7 febbraio 2013

  Soggetto e sceneggiatura: Mark Boal

  Fotografia: Greig Fraser

  Montaggio: Dylan Tichenor, William Goldenberg

  Produttori: Kathryn Bigelow, Mark Boal, Megan Ellison

  Distribuzione: Universal

Interpreti: Jessica Chastain (Maya), Jason Clarke (Dan), Joel Edgerton (Patrick), Jennifer Ehle (Jessica), Mark Strong (George), Kyle Chandler (Joseph Bradley), Edgar Ramirez (Larry), Scott Adkins (John), Chris Pratt (Justin), Taylor Kinney (Jared), Frank Grillo (Comandante), Jeremy Strong (Thomas), James Gandolfini (Leon Panetta), Harold Perrineauu Jr. (Jack), Mark Duplass (Steve), Frederic Lehne (The Wolf), Nash Edgerton (Nate), Ricky Sekhon (Osama Bin Laden).

Zero Dark Thirty è uno di quei film destinato all’ostilità preventiva di una certa critica per via di tutto quell’immaginario autocelebrativo che i war-movie a stelle e strisce si portano dietro. Un film – di produzione americana – incentrato sulla missione della CIA che ha portato all’uccisione di Osama Bin Laden poteva sembrare destinato a seguire uno schema narrativo già visto: una girandola di spari ed esplosioni, i buoni battono i cattivi, il nemico pubblico numero uno muore, Stars spangled banner e titoli di coda.

Ma quello diretto da Kathryn Bigelow è un film che non ha niente a che vedere con una certa tradizione cine-bellica americana. E’ invece un grandioso thriller al femminile – splendidamente girato dalla prima donna a vincere il premio Oscar alla regia – in cui si racconta l’ossessione di un’indagine lunga più di dieci anni, in cui tutte le implicazioni storico-politche della lotta al terrorismo appaiono come un fondale teatrale che rimane dipinto all’estremità della scena, senza mai prendere il sopravvento sulla narrazione. Nel film non ci sono distinzioni tra buoni e cattivi ma solo parti attive di una storia, ed è questo l’ingrediente che rende più realistica tutta la pellicola. Quando gli agenti della CIA torturano brutalmente con il waterboarding e altre sevizie, rese tristamente note dai fatti di cronaca, essi sono molto più vicini all’immaginario che il cinema ha sempre riservato ai nazisti piuttosto che ai difensori della democrazia occidentale.

La pellicola si pone innanzitutto come la storia di una donna tenace che deve difendere le sue idee con le unghie e con i denti. Al di là di quanto la pellicola possa essere fedele ai fatti realmente accaduti, la Maya interpretata dalla strepitosa Jessica Chastain è la rappresentazione stessa di tutte le donne che si ritrovano a lavorare in un ambiente prettamente maschile e maschilista. Il film si snoda seguendo proprio la sua storia professionale all’interno della CIA, dal suo arrivo in Pakistan come recluta, in cui è assegnata ad una malinconica scrivania polverosa, fino alla sua ammissione alle riunioni con il direttore dell’Agenzia in persona. La narrazione resta incentrata sulla caparbietà della donna nel perseguire le sue teorie investigative, osteggiate da colleghi e superiori.

Ma l’empatia con la protagonista diventa totale perché il carattere della donna trasuda dallo schermo e finisce per contagiare tutti, compresi il pubblico in sala e il presidente degli Stati Uniti della pellicola. Alla fine di dieci anni di indagini, Maya è convinta di aver scovato il covo segreto di Osama Bin Laden in una fortezza pakistana ma tutto l’apparato politico-militare statunitense con cui deve confrontarsi sembra esserle contro. Anche per questo la sequenza finale del film finisce per essere seguita dal pubblico con la stessa ansia con cui venne vissuta nelle stanze segrete della Casa Bianca durante le fatidiche ore dell’Operazione Geronimo.

Zero Dark Thirty”, nel gergo militare americano, sta ad indicare i trenta minuti dopo la mezzanotte, ovvero il momento in cui il buio è più fitto. Lo spettatore assiste alla missione praticamente solo attraverso i visori notturni dei “canarini”, gli uomini del commando autori della delicata missione. E’ una scena di raro realismo bellico, destinata a fare scuola nel genere. Questo è anche l’unico momento in cui la protagonista si scopre donna nel senso arcaico del termine: al sicuro, lontana dall’azione, ad attendere che gli uomini tornino dalla battaglia. Al contrario, il resto della pellicola si concentra principalmente sulla progressiva perdita della femminilità a cui Maya si costringe proprio per imporsi come protagonista di una guerra e di un’indagine che finisce per diventare un fatto personale.

Zero Dark Thirty è essenzialmente una grande storia. Non è un film di guerra. Non è un documentario. Non è una celebrazione a stelle e strisce della vittoria occidentale su un nemico che aveva ormai i contorni del mito. E’ un film su un grande personaggio femminile, con una grande protagonista e una strepitosa regista.

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Autore

Nicola Salerno

Sceneggiatore e regista. Ha frequentato il Master in Drammaturgia & Sceneggiatura presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico e si è laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo presso l'Università La Sapienza di Roma con una tesi su INGLORIOUS BASTERDS di Quentin Tarantino.

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