L’inverno della paura

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Scritto dieci anno dopo L’estate della paura, il nuovo romanzo di Dan Simmons intitolato L’inverno della paura regge bene il confronto con il suo precedente. Si tratta di un rebus ad alta tensione dinamica e intellettuale, in cui diventa difficile tracciare i confini tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra ciò che accade nella realtà e ciò che accade nella mente umana.

 

 

  Titolo: L’inverno della paura (in originale A winter Haunting)

  Autore: Dan Simmons

  Anno: 2001

  Casa editrice: Gargoyle Books

Lo scrittore Dale Stewart torna dopo più di quarant’anni nella sua cittadina natale dell’Illinois, Elm Heaven. Lasciato dalla moglie e dall’amante, arenato in un momento di crisi accademica e reduce da un tentativo di suicidio, Dale decide di trasferirsi e vivere per un periodo nella fattoria dei McBride, dove l’amico Duane era morto in circostanze inquietanti e mai realmente chiarite quando aveva solo undici anni. Dale è convinto di trarre da quella dimora che gli è familiare la linfa necessaria alla stesura del suo romanzo, che racconta la memorabile estate del 1960, un’estate di amicizia e spensieratezza fino al terribile episodio della morte di Duane. Quella pace è però lontana, perché Dale viene trascinato in un vortice di circostanze sconvolgenti: enormi cani feroci, minacciosi skinhead, apparizioni incomprensibili, messaggi criptici che appaiono misteriosamente sul suo computer. È ben lontano, a dispetto del nome della cittadina, dal paradiso che stava cercando.

Il fantasmatico è una presenza – o forse è meglio dire assenza? – costante. Eppure non si tratta di fantasmi dal colorito pallido o dall’aspetto inquietante. Almeno, non si tratta solo di quello. I principali fantasmi che Dale incontra nel suo ritiro volontario sono quelli interiori, mentali e legati al suo passato: i cani beowulfiani sono le sue ossessioni, J.C. Cogden condensa in sé le sue paure, Michelle è la forma suprema dei suoi desideri e del suo timore della solitudine. È complesso comprendere i confini tra realtà e spazio mentale, tra quello che succede davvero e ciò che Dale pensa che stia succedendo. Ha davvero ucciso la sua amante? Dale si risponde che è successo: «Nel mio ricordo…la mia fantasia. […] Se fosse andata così avrei lasciato indizi ovunque. »

Il libro di Simmons ha i tratti dell’horror, ma anche del thriller dal forte approfondimento psicologico; non manca inoltre di presentare temi sociali di una certa pregnanza, come i perduranti effetti della segregazione razziale perpetrata dagli Stati Uniti ai danni dei nativi americani, nello specifico dei blackfeet, e il mondo degli skinhead.

Si intravede poi in filigrana il profondo impegno dell’autore volto non solo a creare una storia interessante, ma a conferirle spessore mediante l’inserimento di citazioni letterarie e intellettuali. Il Giro di vite di Henry James, Chaucer, Proust, Milton, la storia di Beowulf: non fungono da meri preziosismi, ma da illustri precedenti. Il protagonista del romanzo jamesiano Spencer Brydon, ad esempio, è convinto di possedere una proprietà abbandonata da tempo e abitata dal fantasma del suo io alternativo.

Simmons riesce a dimostrare quanto le apparenze possano essere ingannevoli poiché non ci si trova davanti ad un horror come tanti, semplice fucina di paure a buon mercato, ma ad un libro intelligente, che sa costruire bene gli attimi di suspance e quelli della narrazione vera e propria: l’autore fornisce al contempo un quadro nitido e dettagliato degli affascinanti paesaggi del Midwest americano, dagli spazi incontaminati e selvaggi del Montana a quelli più cupi, ma meravigliosamente innevati dell’Illinois.

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