INTERVISTA AL REGISTA RICCARDO LEONELLI

0

Pensieri di Cartapesta intervista Riccardo Leonelli, attore diplomato all’ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico che, nel 2008, debutta come autore teatrale con “Il lavoro dell’attrice sul produttore”, commedia che porta al Festival di “Asti Teatro32”nel 2010.

Il regista ci presenta sei apparenti caricature (ben 12 personaggi diversi) di provini in cui il talento e l’impegno paiono essere soppiantati dall’avvilente “scorciatoia”, ormai all’ordine del giorno, portata sulla scena da due attori straordinariamente eclettici. Pungente ed esilarante, seppure dallo sfondo amaro.

 

Il lavoro dell’attrice sul produttore

Di Riccardo Leonelli

Con Francesco Branchetti & Veronica Gentili

Musiche Pino Cangialosi

Luci Giorgio Rossi

Scene Cristiano Paliotto

Costumi Sara Stefanelli

Regia Riccardo Leonelli

 

15-19 novembre 2011, ore21:00

20 novembre 2011, ore16:30

Nuovo Teatro Colosseo di Roma

F.Z.: La scrittura de “Il lavoro dell’attrice sul produttore” è avvenuta lentamente nel tempo o c’è stato un particolare evento ad ispirarla (Scene di vita vissuta, attualità, situazioni sofferte..etc) ?

R.L.: E’ stato un fulmine. Era una tarda mattinata di ottobre e stavo tornando da un provino pubblicitario. Prima di diventare autore e regista, infatti, sono un attore. Mi fermo alla libreria della Stazione Tiburtina a cercare un libro di Ionesco. Mentre sto frugando tra i testi di teatro mi salta agli occhi – per l’ennesima volta – Il lavoro dell’attore su se stesso di Stanislavskij e dico “Basta! Ma a che diavolo serve questo libro? Oggi bisognerebbe scrivere Il lavoro dell’attore sul produttore!” Mi blocco, lascio perdere Ionesco e – tempo mezzora – mi ritrovo a casa davanti al computer a scrivere le prime pagine. In due giorni ho scritto di getto i primi cinque quadri. L’ultimo, invece, è stato il più sofferto e mi ha richiesto un mese di lavoro.

F.Z.: Abbiamo assistito a sei scene, tutte molto spietate e divertenti. Qual è quella che hai sentito di più o ti sei divertito di più a scrivere? Perché?

R.L.: Guarda, devo essere onesto, nello scrivere non ho provato mai divertimento. Anzi. Quello che, alla fine, risulta essere prevalentemente uno spettacolo comico, è in realtà un grottesco molto sofferto. Mi spiego: tutti gli episodi che racconto attraverso degli alter ego femminili, le attrici, sono proiezioni o estensioni di mie esperienze personali e – nello scriverle – ho potuto esternare rabbia, frustrazione, sofferenza che non riuscivo più a tenere dentro. Scrivevo e ridevo a volte, ma di un riso amaro, quasi isterico. È stata una catarsi scrivere Il lavoro dell’attrice sul produttore, te lo assicuro. Il risultato finale per il pubblico è divertente, a tratti leggero, in altri momenti surreale, ma come hai detto tu, anche spietato se prendi ad esempio il terzo e l’ultimo episodio.

F.Z.: Immagino che la scelta degli attori, per altro molto validi, sia stata  particolarmente curata. Come è nato il vostro sodalizio artistico e dove si sono formati?

R.L.: Per quanto riguarda Francesco Branchetti avevamo già lavorato insieme in Antonio e Cleopatra di Shakespeare al Festival di Taormina nel 2008 e al Teatro Italia a Roma l’anno successivo. Francesco ha frequentato La Scaletta, un’importante scuola teatrale di Roma ed ha lavorato, fra gli altri, con Marcel Marceau. Lo avevo visto recitare unicamente nel ruolo tragico di Antonio, ma conoscendolo di persona ed intrattenendo con lui un rapporto personale di amicizia, cominciavo a percepire una certa vena comica e – appunto – grottesca, che m’interessava particolarmente. Lui è un grande raccontatore di aneddoti e conoscitore di persone del mestiere, per cui mi sembrava perfetto per vestire i panni di questi sei produttori così diversi fra loro, sopra le righe e assurdi, eppure così comuni nel nostro mondo. Tra l’altro, l’anno scorso ha vinto il Premio Salvo Randone, a riprova che avevo visto giusto. Con Veronica invece, c’eravamo incontrati all’Accademia “Silvio d’Amico”. Lei era nell’anno dopo il mio. L’avevo vista recitare nei saggi di fine anno e la conoscevo anche personalmente. Mi ha subito dato l’idea di una ragazza sveglia, bella e – non me ne abbia a male – comica in quel suo modo di essere femme fatale con una nonchalance che a volte si trasforma in gaffe. Mi ricorda un po’ quelle attrici di sit-comedy americane che hanno sia l’aspetto delle seduttrici, sia i tempi comici e le physique du role adatto a scivolare da un momento all’altro su una buccia di banana.

F.Z.: Tra il mestiere del regista e quello dell’attore, quale ti appassiona di più?

R.L.: Io sono nato attore e morirò attore. Ultimamente sono stato fra i cattivi di Centovetrine, un ruolo divertente e sicuramente meno impegnativo che in teatro, tuttavia, l’ho innestato all’interno di mio un percorso naturale che sentivo adatto a me e mai forzato. La regia è molto importante nella mia vita, ma è stata una costruzione più ragionata e graduale. Per necessità. Non credo che diventerò mai un grande regista o almeno non come s’intende oggi la figura del regista. Quel senso ronconiano di protagonismo assoluto che spesso vuole sopraffare le interpretazioni degli attori per imporre il suo concetto non m’interessa. Dico sempre, dalla mia umile esperienza, che il cinema è dei registi e il teatro è degli attori. Se in un film sei bravissimo, ma il regista non sa valorizzarti, puoi passare tranquillamente inosservato; ma se sei bravo a teatro, tutti si accorgeranno di te, a prescindere dalla regia. A me piace dirigere gli attori proprio perché sono uno di loro, quindi credo di cavarmela bene nel dare le direzioni dei personaggi, nell’indicare un tempo comico, nello scrivere e mettere in scena battute che possano essere dette agilmente e non solo lette. Senza voler fare paragoni assurdi, per l’amor di Dio… Shakespeare era un attore e quindi sapeva benissimo come scrivere le battute; così io mi trovo avvantaggiato a scrivere e dirigere. Ma la mia natura è di attore. Quando sto per entrare in scena sento che è lì che devo stare, se sono in regia o tra il pubblico vorrei scappare.

F.Z.: Ti ritieni soddisfatto del tuo primo lavoro da autore e regista? Speri nel tuo piccolo di cambiare qualcosa con la tua ironica denuncia?

R.L.: Non poteva andare meglio, da ogni punto di vista. Non credevo che avrei avuto tanto successo e mi hanno colpito molto gli apprezzamenti di autori come Manfridi, Guardigli, Antonucci, Bassetti, di professionisti del mestiere come Pino Strabioli e Maurizio Scaparro o di personalità politiche come Fausto Bertinotti. Ho apprezzato anche le critiche al testo e alla regia, perché sono preziose per migliorare e per comprendere più aspetti del lavoro, che magari mi erano sfuggiti o che non comprendevo in una certa ottica. In finale, devo dirti che non credo che uno spettacolo teatrale riuscirà a cambiare nulla di questo nostro mondo, sebbene io senta di aver dato il mio piccolissimo contributo artistico alla denuncia di una situazione attuale molto grave in cui siamo immersi tutti: attori, registi, autori, ma anche casalinghe, operai, giornalisti, professionisti e disoccupati. Mi auguro che quanti “potenti” hanno detto di aver apprezzato Il lavoro dell’attrice sul produttore si fermino a riflettere un minuto in più la prossima volta che dovranno scegliere fra il talento e l’imposizione.


Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Avatar

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi