Intervista a Silvano Agosti

0

Silvano Agosti è nato a Brescia il 23 Marzo 1938. Da giovane ha viaggiato in autostop per tutta l’Europa, poi anche in Nord Africa e in Medio Oriente. Dal 1960 ha studiato cinema prima a Roma e poi a Mosca. Ha collaborato con registi come Marco Bellocchio e musicisti come Ennio Morricone e Nicola Piovani. Da anni, coniuga la sua principale attività di regista e sceneggiatore con la passione per la scrittura e per la poesia.

Ludovico Nisi: Nessun suo film è mai stato proiettato nelle sale italiane, dopo la censura de Il giardino delle delizie. Malgrado ciò, ha ricevuto riconoscimenti in Francia, in Giappone e negli Stati Uniti. Come spiega questo fenomeno?

Silvano Agosti: Beh, è ovvio. In Francia hanno fatto la rivoluzione, in Giappone non c’è il Vaticano, quindi è ovvio che la cultura è diversa, è più laica, più in avanti. Credo sia presto per il tipo di messaggio che do io. Tuttavia non soffro per il fatto che in Italia non siano mai stati proiettati i miei film, perché so che li proietteranno quando io non ci sarò più. Ritroveranno il valore dei valori e allora i miei film emergeranno da soli. Sono contento che i miei film abbiano successo all’estero, soprattutto perché lì la gente scopre il mio cinema come se l’avessi fatto stamattina. I miei film non sono datati perché li ho fatti istintivamente affinché siano sempre attuali. Un film come L’uomo proiettile non ha ragioni di invecchiare, perché ho evitato accuratamente tutti gli elementi di riferimento al tempo.

L.N.: Perché preferisce girare i suoi film senza l’aiuto della troupe?

S.A.: La troupe è un’invenzione macabra dell’industria. Non c’è nessuna fatica nel fare un film da soli, ma c’è una fatica inenarrabile nel fare un film con la troupe. La troupe è come un’orchestra, in cui solo tre elementi sanno suonare. Tutti gli altri non sanno suonare, sono lì, hanno in mano uno strumento ma non sanno suonare. E’ un disastro! Solo autori di grande prestigio, come Bergman, Fellini, Fritz Lang sono riusciti a spolpare la troupe di qualsiasi velleità d’intervento nel processo creativo, bloccandola immediatamente. Loro sono riusciti, nonostante la troupe, a fare dei capolavori. Per me, sarebbe una cosa umiliante fare un film con la troupe.

L.N.: La sua opera è un appassionato tentativo di affermare la superiorità della “vita” sull’ “esistenza”. Se l’esistenza è costrizione, schiavitù e limite, la vita è libertà, espressione totale, naturalezza. Quali strumenti ha a disposizione l’uomo contemporaneo per allontanarsi dall’ “esistenza” e ritornare alla “vita”?

S.A.: Non ha nessuno strumento, se non lo stesso che ha un ergastolano che è chiuso in una cella, e cioè l’evasione, il fuggire. L’unica chance che l’essere umano ha in questo Occidente così tormentato è quella di espellere da sé la morale e ritrovare l’etica. La morale non è altro che la somma delle abitudini, e le abitudini le ha dettate sempre il potere. L’etica è strutturata sul fatto che l’essere umano ha diritto ad agire solo eseguendo i propri desideri. L’obbligo del fare è il primo peso micidiale che trasforma l’animo umano in una specie di blocco di ferro che ha solo peso.

 L.N.: Ho letto che da giovane ha viaggiato in autostop per tutta l’Europa, e poi anche In Africa e in Medio Oriente. Lo studio e la passione per il cinema sono arrivati dopo. I viaggi che ha fatto hanno in qualche modo determinato la sua ispirazione artistica?

S.A.: No, assolutamente. Il cinema e lo studio sono arrivati per caso. Credo semplicemente che la creatività sia una secrezione naturale di qualsiasi persona che vive in libertà, come il gioco è una secrezione naturale di qualsiasi animale che vive in libertà.

L.N.: Mi sembra tuttavia che molto della cultura orientale sia presente nel suo modo di guardare il mondo. Ha viaggiato in Oriente, ha girato un documentario su Osho Rajneesh e uno su Indira Gandhi. La filosofia orientale è un punto di riferimento della sua poetica?

S.A.: Più che un riferimento, c’è un rapporto di analogia. Tutta la filosofia orientale nasce dalla povertà dell’Oriente, e io sono portatore di un’esperienza di totale povertà nell’infanzia e nell’adolescenza. Non avevo neanche le scarpe, le mutande, non avevo da mangiare… La povertà però è differente dalla miseria. E’ come se la povertà fosse una forma di affrancamento: non c’è nulla però c’è la libertà. Io sono cresciuto in un’indigenza totale, ma anche con una libertà totale. E dalla libertà nasce la creatività, o la sua sorellina, che è la saggezza. Io non ho mai studiato, se non a partire dai 23 anni. Lo studio in età infantile è una vera tortura per i neuroni, uno sfascio per il cervello dei bambini.

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Ludovico Nisi

Studente di filosofia, musicista se capita.

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi