INTERVISTA A RICCARDO DE TORREBRUNA

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Frontiera Donna è un progetto di grande spessore umano e artistico, ideato da Riccardo de Torrebruna, che intende abbracciare, con intelligenza e delicatezza, scottanti problematiche d’attualità. L’idea del regista è quella di partire dall’analisi di una contingenza con precisi connotati storico-sociali, ossia l’inferno che demarca il confine tra Messico e Stati Uniti, per arrivare poi a trattare il concetto di frontiera in senso più ampio, sondando i complicati viluppi dell’animo umano.

Riccardo de Torrebruna si mostra, come sempre, disponibile a fornire al pubblico spunti di riflessione fondamentali per acquisire una visione omnicomprensiva dell’opera.

Recensione dello spettacolo Frontiera Donna 

Paola Monaco: Oggigiorno non si fa che parlare degli effetti della crisi economico-finanziaria sui Paesi dell’Unione Europea. Come nasce l’idea di elaborare uno spettacolo sulla Frontiera di Cristallo, apparentemente così distante dalla nostra realtà geopolitica?

Riccardo de Torrebruna: Mi hanno colpito alcuni articoli sulla situazione delle donne sudamericane che affrontano il viaggio verso la frontiera tra Messico e Stati Uniti, donne già preparate a subire uno stupro. Il senso pratico che le spinge a mettere nel bagaglio i profilattici e le iniezioni anticoncezionali, che per tre dollari garantiranno loro un “abuso senza conseguenze”, se è possibile esprimersi in questo modo, il che è già aberrante di per sé. Senza contare il rischio di sterilità che quel farmaco comporta per il loro futuro. Questa forza rassegnata ha fatto centro nella mia sensibilità con la precisione di un proiettile. Mi sono detto che valeva la pena mettere in piedi un progetto che ponesse in luce gli elementi brutali implicati in questo scandalo. Si poteva ambientare la situazione ovunque, anche nella civilizzata Europa dove ospitiamo tratte di donne da destinare al marciapiede. Terzo millennio di una civiltà che non ha trovato deterrenti alla violenza e che accelera verso la propria autodistruzione

P.M.: È corretto affermare che la “frontiera” trascende la fisicità, per collocarsi in una sorta di “meta-spazio” in cui i limiti sono soprattutto interiori?

R.dT.: La Frontiera è una linea mobile e incerta che corre parallela alla nostra vita. Abbiamo tutti una frontiera da superare per attingere alle risorse di una condizione migliore, o che crediamo migliore, ma non fa differenza. Da secoli, moltitudini di persone, spinte da bisogni primari, cercano di varcarla a costo di essere uccisi, respinti, violati. Minoranze più privilegiate combattono per affrancarsi da modelli che li fanno sentire immobili e ripetitivi nei loro comportamenti, la loro malattia è l’angoscia. La condizione umana non la scopro io.

P.M.: Gli attori, con la loro valida interpretazione, sembrano aver superato ogni tipo di “frontiera”, qualsivoglia limite che potesse fungere da impedimento a una naturale comunicazione del messaggio al pubblico. Che tipo di lavoro è stato messo in atto per arrivare a questi risultati?

R.dT.: Gli interpreti non sono proletari sudamericani, è un fatto dal quale non si può prescindere a meno di non cadere in un velleitario sforzo di riproduzione. Gli attori non possono fare tutto, possono fare ed esprimere ciò che è loro affine, ciò di cui sanno qualcosa. Nel lavoro di ricerca e d’improvvisazione ho fatto ricorso al precetto guida di Vakhtangov, il miglior allievo di Stanislavkij. “Creare senza essere sé stessi è impossibile”.

Insegno con continuità dal ’91 e non ho ancora trovato nessuno che lo possa smentire.

P.M.: Il titolo dell’opera rimanda a una riflessione generica sulla condizione della donna. Qual è il suo pensiero in proposito?

R.dT.: E’ molto difficile esprimersi su un tema così ampio, dovrei sapere cosa accade alle donne in Uzbekistan, o nei quartieri poveri di Caracas, nelle città cinesi che lievitano ogni anno a suon di milioni di persone. Non è solo questione di generalizzare. La mia impressione è tutta raccolta in una favola che viene citata nello spettacolo. La favola della Bella e la Bestia. La Bella lascia la sua casa, lascia tutto per andare a incontrare l’uomo della sua vita. Poi si accorge che non trasformerà mai la Bestia in un principe. Le donne danno alla luce gli uomini. Se gli uomini crescono o non crescono, se gli uomini tradiscono i principi della vita c’è anche una parte di responsabilità nelle loro madri.

P.M.: Cosa possiamo aspettarci dalla seconda parte del progetto? Può darci qualche anticipazione in merito?

R.dT.: Uscite in un modo o nell’altro (anche morte, o scomparse) dal sequestro subito alla Frontiera, le donne raccolgono quello che resta, anche di se stesse, per rimettere insieme i soldi e tentare un nuovo viaggio. Forse con nuove armi.

 

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Webmaster - Redattore Cinema

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