Intervista a Renzo Maggi

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Renzo Maggi è nato a Seravezza nel 1944. Diplomatosi Maestro d’Arte nel 1961 presso l’Istituto Stagio Stagi di Pietrasanta, inizia il suo apprendistato sotto la guida dello scultore Leonida Parma. Dopo un breve periodo a Milano, si trasferisce in Svizzera dove si dedica prevalentemente alla scultura e alla pittura. In questi anni dirige anche un quindicinale di politica e cultura in lingua italiana. Nel 1992 rientra in Italia. Esegue molte opere pubbliche e private. Espone in modo permanente nello spazio della galleria Open One di Pietrasanta, collabora ed espone con la Ken’s Art Gallery di Firenze, con le gallerie Proposte di Arte Contemporanea e La Meridiana di Pietrasanta. Inoltre, le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia.

Lorenzo Simonini: Cosa l’ha spinta a dedicarsi alla scultura e al mondo dell’arte?

Renzo Maggi: E’ chiaro che per un ragazzo nato a Seravezza, in Versilia, vicino alle cave, l’ambiente in cui cresce ed inizia la fase comprensiva della sua vita è circondato da laboratori, scalpellini, scultori e, soprattutto, marmo. Nella mia famiglia mio nonno è stato cavatore e mio padre scalpellino. Quest’ultimo, amando tantissimo l’arte ma non avendo potuto fare la scuola di disegno, indirizzò i suoi tre figli maschi verso l’Istituto d’arte di Pietrasanta, quasi come fosse una legge non scritta. Era considerata una strada obbligata, anche perché era la scuola del ceto operaio. Come ad esempio i figli dei farmacisti andavano a un liceo e poi all’università, noi avevamo come indirizzo formativo la scuola d’arte. Non è detto che tutti coloro che andavano lì avessero poi uno sbocco nell’arte. Nella mia vita questo sbocco è arrivato perché l’arte è, prima di tutto, una passione, una curiosità, un grande amore, addirittura più di un amore fisico o sentimentale. E’ proprio una cosa speciale che mi è rimasta e cresce ancora oggi dentro di me. Non si tratta di una vocazione né di una missione, ma è la curiosità dell’uomo che si pone di fronte alla pietra, al disegno, alla musica. Esso è spinto da qualcosa che non si può spiegare, oppure si spiega attraverso una bellezza enorme che ti coinvolge e ti prende. L’arte è questa disciplina che ti strappa l’anima e ti induce a scoprire, allo stesso modo per cui un bimbo è  portato a giocare in maniera intelligente. Ciò che manca oggi è questa capacità di concentrazione totale.

L.S.: In tema di giovani, cosa si sente di dire a loro affinché possano riuscire ad avere un ruolo nel mondo culturale ed artistico?

R.M.: In una società dove regnano le trasmissioni idiote, e dico così perché serve il coraggio di dirlo, e in un mondo dell’arte dove c’è molta improvvisazione e poca preparazione, la quale oggigiorno manca, ai giovani mi sento di dire di valorizzare l’amore e la passione per le cose vere e profonde, che ti fanno stare bene dentro. Negli anni ’50 e ’60 noi, dopo la scuola, si andava a fare l’apprendistato gratuitamente e io devo tutto al mio maestro, a questa gente che c’ha tralasciato questi grandi saperi e che hanno un valore enorme. L’uomo è diventato quello che è proprio perché è riuscito a tramandare le sue conoscenze. Così come l’elefante capo tramanda che sa dove si trova l’acqua, per noi vale la stessa cosa. Invece noi, oggigiorno, non si trova niente, nemmeno l’acqua del mare. Questa è la società di oggi, quindi impariamo a tramandarci, a concentrarci, a fare qualsiasi cosa, dallo scultore al medico, con tenacia. Io dico sempre che solo nel rigore c’è la libertà e quest’ultima viene dallo studio e dalla comprensione. In questo modo ti senti un uomo, prima di tutto per te stesso. Io non scolpisco per gli altri, ma è una lotta tra me e la materia. Non è una questione di successo o di arte. Essa è una bella sfida per cui vale la pena di stare sulla Terra.

L.S.: Anche se l’ha già accennato nella prima risposta, quali sono i motivi per cui ha scelto di utilizzare il marmo per le sue sculture?

R.M.: Quando ero bambino, la sera mio padre portava a casa delle lettere maiuscole alte circa 4-5 centimetri e spesse 1 centimetro che servivano per l’arte funeraria. Lui le intagliava e noi le lucidavamo. Intorno avevamo sempre il marmo, dal tavolo all’acquaio. Per uno scultore che, come me, le sculture se le fa da sé, lavorare il marmo è affascinante. L’uomo ha sempre avuto il fascino e il bisogno primordiale di voler lasciare qualcosa di sé, di cogliere la bellezza che fugge, però essa è ben presente in ogni movimento ed è qualcosa di strepitoso. Picasso diceva «Io non cerco. Trovo». Quando comincio a lavorare il marmo, a cozzare una materia che nei primi colpi ti respinge e non ti dà nulla, io frugo nel marmo per trovare.

L.S.: Quali sono i suoi progetti per il futuro?

R.M.: Ho in mente un sacco di lavori a lunghissima scadenza, molti dei quali importantissimi che spero si concretizzino. Per il futuro, però, penso solo a crescere, a migliorarmi, a raffinarmi. A rifletterci bene, riprendendo il discorso del tramandare, mi chiedo come si possa pensare di rottamare delle persone ricche di esperienza. Basti pensare a personalità come Picasso, Michelangelo, Leonardo: in vecchiaia hanno fatto cose meravigliose. Non esiste gioventù, non esiste anzianità: c’è solo la vita. Io ho quasi 70 anni, ma ritengo che il futuro sia nelle nostre mani e nella nostra intelligenza. Ci tengo a dirlo perché ciò vale per tutti.

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Redazione

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