Helen Cerina | Du Liebst Mich Zu Viel

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© Manuela Giusto

© Manuela Giusto

Du Liebst Mich Zu Viel

Shell (studio)
di e con Helen Cerina

 

25 aprile 2015, Teatro dell’Orologio

Per il secondo anno consecutivo il Teatro dell’Orologio ospita il Festival di danza contemporanea EDEN – connect the dots, concentrandosi maggiormente sulla figura di giovani coreografi che, con il loro lavoro, cercano di recuperare l’aspetto corporeo del danzatore e di riconquistarne l’umanità, portandolo al limite del suo movimento raggiungendone la naturalezza espressiva. Nella giornata del 25 aprile sono stati presentati due lavori di Helen Cerina, Du Liebst Mich Zu Veil e Shell (studio).

Du Liebst Mich Zu Veil. Su una scacchiera colorata creata dalle luci dei sagomatori sono posizionati oggetti funzionali all’ampliamento, registrazione e riproduzione dei suoni provocati dalla danzatrice che reitera un percorso ripetendo la stessa partitura coreografica, arricchendola di sospensioni, stop, impulsi disconnessi che si traducono in altre reazioni di movimento. La danzatrice sembra esplorare lo spazio per servirsi di esso nel processo creativo, adattandosi e creando in relazione ad esso meccanismi di illusione che evitano una linearità temporale e narrativa, ma che si relazionano ai concetti di assenza e presenza.

Helen Cerina interpella il pubblico, chiedendogli quale sia il prezzo dell’amore che il pubblico stesso le dimostra osservandola nel buio della sala: a cosa si è spinti per attirare l’attenzione, per farsi amare? La qualità estremamente ironica della performer diverte il pubblico, che la segue con attenzione, rimanendo sorpreso alla perplessità della Cerina di fronte all’improvvisa concretezza di trovarsi in un luogo.

Shell (studio).

Un involucro bianco protegge una figura che lentamente si libera degli strati seguendo un percorso che spacca in diagonale lo spazio scenico. Questa pupa segue un’evoluzione che la porta da uno stato di invertebrata mobilità ad uno di eretta presenza umana. La metamorfosi bianca è intima, chiusa in se stessa, con occhi che si relazionano all’interno del mutamento; la performer nel suo guscio segue un ritmo scandito preciso nel quale il movimento a spirale si dilata o si restringe: la sua corazza è bagnata dal colore delle luci, che creano una scala cromatica simile a quella di ali di farfalle, creature fragili e dall’esistenza effimera. Nell’epilogo, però, non appena gli occhi sono liberi di osservare l’intorno questa creatura si dimostra nella sua forza, stabilendo un gioco di relazioni con il pubblico che l’ha spiata nell’intimità del suo sviluppo.

Si tratta di uno studio presentato al pubblico per la prima volta che stilisticamente mostra poco movimento danzato poiché è ancora una ricerca; racchiude all’interno della sua struttura spunti interessanti e coinvolgenti, aprendo interrogativi su come, nel momento in cui si percorre un cammino individuale sia necessario scontrarsi con lo spazio esistente e creare una sorta di conflitto-relazione con ciò e chi ci circonda, decidendo se frantumare il guscio che ci protegge o di rinforzarlo per isolarci dal mondo.

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Autore

Ludovica Avetrani

attrice, danzatrice, curiosa. caporedattrice delle sezioni di teatro e danza. odia le maiuscole.

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