Festival Internazionale del Film di Roma – Manto acuífero

0

Il 9 Novembre è stato proiettato, nel corso dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Manto acuífero, opera seconda del regista australiano-messicano Michael Rowe, vincitore della Caméra d’or a Cannes con il suo primo lungometraggio nel 2010.

 

Manto acuífero, di Michael Rowe, Messico 2013, 85’

Fotografia: Diego García

Montaggio: Ares Botanch

Cast: Zaili Sofia Macias (Caro), Tania Arredondo (la mamma), Arnoldo Picazzo (Felipe)

 

 

Cosa prova veramente un bambino quando i suoi genitori si separano? Cosa realmente percepisce e cosa invece i genitori credono non percepisca? Carolina, detta Caro, ha otto anni e si è appena trasferita in una cittadina a sud di quella in cui viveva prima, in Messico, con la madre e il suo nuovo compagno.

Per la bambina si instaura immediatamente una contrapposizione fra lo spazio interno della nuova casa e lo spazio esterno del giardino. In casa, Caro vive un forte disagio, dovuto all’assenza del padre e alla presenza di un nuovo uomo al fianco della madre, che lei non è ancora pronta ad accettare, ma che la madre tenta a tutti i costi di imporle come “nuovo padre”. Il giardino, al contrario, è un luogo di pace per la piccola, dove può osservare la natura, scavare nella terra e catturare insetti.

Più tardi si scopre che il papà di Caro è un entomologo e i gesti della bambina diventano interpretabili come volontà di ritrovare a tutti i costi un legame con il genitore attraverso le cose che più glielo ricordano, come appunto gli insetti. Altrettanto evidente è la volontà della madre di rimuovere il passato e il suo ex marito sia dalla propria mente che da quella della figlia, come, ad esempio, quando la sgrida per aver catturato un insetto in quanto “pericoloso”.

Nel giardino Caro trova anche un pozzo, nel quale il patrigno le vieta di entrare. Forse anche per dispetto, ma soprattutto per la voglia di trovare uno spazio tutto suo nel quale rifugiarsi, Caro farà di quel buco la sua piccola casa, nella quale costruirà una sorta di altare con tutti gli oggetti e le foto che rimandano a suo padre e alla sua situazione familiare precedente. La reazione esagerata del patrigno alla scoperta del rifugio e l’incapacità della madre di gestire la situazione avranno effetti disastrosi su Caro, la quale finirà per proiettare la figura della genitrice su una gallina, animale che accudisce i suoi piccoli come forse lei non si sente accudita, e darà sfogo alla propria frustrazione attraverso la violenza.

Michael Rowe affronta il tema della separazione dal punto di vista di chi la subisce, i figli, che vivono questo trauma rendendosi conto di non avere nessun potere sugli eventi che li circondano e li riguardano. La macchina da presa è sempre fissa all’altezza della bambina, mentre gli adulti entrano ed escono dal suo spazio senza mai instaurare realmente un contatto con lei. Caro ha imparato prima degli altri bambini che gli adulti sono “umani”, che tradiscono, che feriscono, che soffrono, che piangono. Questa consapevolezza la porta a prestare maggiore attenzione al mondo degli adulti; anche quando essi nell’inquadratura appaiono sfocati sullo sfondo, il suono delle loro parole è nitido, Caro sente tutto, assorbe tutto, ma loro non ne sono consapevoli, in fondo è solo una bambina.

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Marta Palamidessi

Laureata in Letteratura Musica e Spettacolo. Studentessa di Editoria e Scrittura.

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi