Danilo Caputo | La mezza stagione RIFF 2015

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La mezza stagione

Ita/Rom/Gre 2014, 80′

Produzione Graal

La mezza stagione è il film che si aggiudica il premio come miglior lungometraggio italiano. Tre storie ambientate nella provincia di Taranto. Carosino per l’esattezza. La donna che ha perso il padre ed è tormentata dal suo spirito che le invade i sogni e le chiede in continuazione una camicia cui teneva molto. L’uomo che lavora come portiere di notte in un piccolo albergo e che intraprende una guerra personale contro i rumori molesti: karaoke, campane e omelie ecclesiali che dall’altoparlante inondano continuamente la piccola cittadina. Il trentenne che raccoglie rumori ambientali e li campiona creando tracce elettroniche che masterizza in cd da spedire in Germania, sperando in una fuga dall’Italia attraverso la propria passione artistica. Tre storie che sono un’unica storia: il mancato parricidio sociale. Una tragedia che come una opprimente cappa di genere-azione, ha ormai soffocato le speranze, lo spirito vitale e la normale quotidianità di gran parte della società civile italiana. Questi padri oggi fortunatamente non uccidono più i propri figli, ma li “ammorbano” con la loro petulante saggezza mascherata da complicità stantia e gelosa. Questi padri dovrebbero star zitti e lasciare spazio alla volontà e ai desideri invece di perpetuare il vittimismo catastrofico e il pessimismo cosmico.

Protagonista della pellicola è il disegno sonoro. Una carrellata di registrazioni ambientali che è al tempo musica, accompagnamento emotivo, ironia, accusa, pietà. Coadiuvata da una presa diretta minuziosa, chirurgica e silenziosa in un senso molto dolce: lascia parlare le azioni, importanti tanto quanto le parole. Non ci sono chiacchiere in questo film. La sceneggiatura, molto gustosa e vincitrice del premio “Mattador”, è priva di commenti o stereotipi, ma piena di urgenza comunicativa – come negli scatti d’ira –, è puro parlato quotidiano. In questo gli attori, altro elemento degno di considerazione, non sono mai figure presuntuose ma sono al servizio del testo anzi, sono il testo. La loro mancanza di recitazione rende la storia vera. Sembra di assistere allo svolgersi della vita e probabilmente l’intenzione della regia è proprio quella di indagare “documentaristicamente” lo svolgersi della vita di un paese. Chi ricorda quella avventura entusiasmante che fu la trasmissione “avere ventanni” troverà qui tutti gli elementi che contribuirono a rendere quel progetto così unico per acume e misericordia. Tutto è estremamente credibile perché la vita è più interessante di qualsiasi film, di qualsiasi opera d’arte e se c’è qualcuno che riesce a restituirla in forma artistica l’atto di osservarla diviene puro piacere. Nella struttura narrativa non ci sono campi e controcampi, le immagini sono poesia visiva. Una didascalia obiettiva dell’epica quotidiana scandita da lavori domestici, funerali, donne al lavoro, rapporti di conoscenza e, soprattutto, micro panoramiche dell’architettura di un paese. Un’analisi così sensibile e poetica della mancata trasformazione etica dell’essere umano e così ben realizzata che rende difficile scindere le immagini dal testo. C’è un’architettura simbolica, di esseri umani e paesaggi testimoni della deriva urbanistica ed etica cominciata con la ricostruzione post bellica, una sorta di alternativa guerra fredda del territorio, del panorama, della rigogliosa natura mediterranea e del mancato rinnovamento delle tradizioni culturali.

Gli studi di musica, scienze umanistiche e filosofia del regista Danilo Caputo si percepiscono e i denari spesi dai genitori sono stati ben spesi perché la speranza che questo giovane autore sieda in un futuro, che speriamo prossimo, tra i cineasti italiani non è velleitaria.

Di seguito la breve intervista realizzata con Valentina Strada, sceneggiatrice, insieme al regista, della pellicola. 

Enea Tomei:  Complimenti per il bel lavoro che ho visto. Ci racconti la genesi del tuo testo? Nasce insieme all’idea di regia o da una tua urgenza interiore?

Valentina Strada: La sceneggiatura de La mezza stagione è stata sviluppata sulla base di spunti narrativi e visivi suggeriti dal regista, Danilo Caputo. L’urgenza comune è stata sicuramente quella di raccontare il Sud da un punto di vista diverso, partendo da una forte dose di realismo.

E.T.: Vi sono descritte situazioni che hai vissuto? Quanto c’è di autobiografico?

V.S.: Le tre storie che compongono il film sono in parte ispirate a vere storie, a dinamiche che conosciamo bene e che sentivamo di voler raccontare. L’osservazione e l’approfondimento della nostra piccola realtà ha giocato un ruolo fondamentale in fase di scrittura.

E.T.: A tuo parere il film ha tralasciato e/o valorizzato parti di narrazione? Come?

V.S.: A mio parere, il film valorizza la componente della narrazione nella scelta di ricorrere a scene intime, quotidiane e realistiche, con un approccio concreto allo spazio in cui si muovono i personaggi e alle sfumature psicologiche delle loro azioni.

Grazie e in bocca al lupo per i prossimi lavori.

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Autore

Enea Tomei

Enea Tomei, poeta. Mai laureato in filosofia del diritto, scrittore, attore, fotografo, critico con se stesso e delle arti che gli piacciono. Cura la sezione musicale del Festival della scena contemporanea Teatri di Vetro, è caporedattore foto della webzine Nucleo, scrive canzoni, suona e straparla nella band folk ‘n rock PHAKE. Autodidatta in tutto, anzi DIY (anche se il diplomino dell'accademia teatrale ce l'ha), non crede nella reincarnazione ma pratica il miracolo e la telepatia. Consiglia la psicoterapia. Ha mandato tutti e tutto a quel paese per ritrovarsi al punto da cui voleva partire più di vent'anni anni fa. Contento, sì ma più vecchio...

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