Festival della creatività: D’amò contemporary dance, Simulacre

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La D’amò contemporary dance ha presentato un estratto del suo primo lavoro, Simulacre al  Festival della Creatività che si svolge presso lo spazio Factory dell’Ex-Mattatoio di Testaccio. Il festival, promosso e organizzato dall’Assessorato alla Famiglia, all’Educazione e ai Giovani di Roma Capitale, con il supporto organizzativo di Zetema Progetto Cultura, ospita le creazioni di artisti di diversi linguaggi per tutto il mese di febbraio.  

Simulacre

Regia e coreografia: Valeria Loprieno

Interpreti: Ludovica Avetrani, Valeria Loprieno

Musiche originali: Giacomo Citro

24 febbraio 2013 – Factory, Ex-mattatoio di Testaccio, Roma

Vai al sito del Festival della Creatività

Lo spazio Factory dell’Ex-Mattatoio di Testaccio, domenica 24 febbraio ci ha regalato una piccola perla: Simulacre. L’estratto presentatoci dalla giovane compagnia D’amò, nuova creatura della danzatrice e coreografa Valeria Loprieno, ha davvero qualcosa da raccontarci. Simulacre è un lavoro che ci fornisce tutti gli strumenti per comprendere ciò per cui nasce, ovvero la riflessione sul nostro corpo al giorno d’oggi.

Un simulacro, per definizione, designa un’apparenza che non rinvia ad alcuna realtà sotto-giacente, perciò possiamo ben immaginare il messaggio che Valeria Loprieno e l’attrice Ludovica Avetrani vogliono regalarci. Si tratta di una riflessione che getta un seme molto preciso ma non ha la pretesa di dirigere macchinosamente i pensieri dello spettatore, anche se, purtroppo, nella contemporaneità occidentale, non c’è molta scelta. Si tratta di un corpo anatomicamente descritto nelle sue peculiarità, nei suoi automatismi e nei suoi desideri, che non ha nulla a che fare con le emozioni ed i sentimenti profondi. Il corpo è vuoto, è un contenitore pronto all’uso: è così che ci viene descritto dal tagliente testo, misurato nella tempistica e nell’alternanza tra musica e silenzi, per sciorinare in modo tanto allarmante quanto evidente il destino delle nostre membra. Appare come un contenitore fatto di ossa, muscoli e pelle che viene manovrato dall’esterno, che cambia identità in base al vestito che indossa, al ruolo che ricopre nella società. Lo sviluppo di questi venti minuti è ben calibrato per supportare un crescendo riflessivo e dinamico. Inizia con un’ esposizione conferenziale, razionale e quadrata che cresce, nei suoi lati via via più umani, per concludersi, forse, con un colpo di scena. Questa crescita drammaturgica è ben supportata dalla musica originale che, non sempre presente, dialoga in sinergia con gli altri elementi e contribuisce a creare quell’angoscia frizzante che sottende le corde dell’estratto.

La scelta registica di Valeria Loprieno sembra molto chiara agli occhi dello spettatore: le parole, il movimento e la musica sono linguaggi funzionali ad un messaggio. Ed è proprio questa modalità che permette al lavoro di svilupparsi in un equilibrio dinamico in cui le componenti hanno il giusto peso e la giusta qualità. La danza che vediamo è essenziale, calibrata e non esagerata nel suo sviluppo, è la risposta ad uno stimolo inizialmente esterno; ci dimostra, finalmente, che un danzatore è prima di tutto un essere umano che agisce. L’amalgama drammaturgico e artistico che ci viene proposto è supportato da una cornice teatrale lineare che permette di digerire i molti elementi presenti, già funzionalmente calibrati, e contemporaneamente di riflette singolarmente sul nostro corpo-simulacro. Speriamo di vedere presto lo sviluppo di questo promettente inizio di ricerca artistica, sociale ma soprattutto umana.

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