TUTTO PER BENE SOTTOSOPRA

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In proscenio, sulla sinistra, si staglia enorme la tomba-monumento di Silvia Agliani, moglie-santa, amante-puttana. Il suo fantasma, che appare in scena come una visione danzante della morte, è il vero protagonista dell’interessante rilettura che Gabriele Lavia fa di Tutto per bene di Pirandello: la donna è morta portando con sé un mistero, quello della maternità, e cioè della vita, attorno al quale ruoterà tutto lo spettacolo.

Martino Lori, addolorato e inconsolabile per la perdita dell’amata moglie, verrà a sapere del suo tradimento solo sedici anni dopo, dalla figlia Palma. Scoprirà anche che tutti erano convinti che lui sapesse ma, per inettitudine, avesse nascosto, che la figlia fosse nata proprio da quel tradimento. La sua cecità non gli ha permesso di vedere la relazione tra Silvia e il suo amico e datore di lavoro, il senatore Manfroni.

La presa di coscienza avviene per caso, con drammatica leggerezza, come sempre avviene nella vita. Credetti nella tua amicizia, nella luce del sole che mi accecava, dice Lori a Manfroni quando, disperato, cerca un confronto. Non ha visto niente tutta la vita perché accecato e scoprirà la verità al buio, per caso, in un salotto illuminato solo dai lampi di un temporale. Per tutto lo spettacolo le intemperie del tempo si mescolano continuamente con quelle dell’animo e non lasciano scampo.

Il meccanismo si inceppa. O forse, in quel mondo pirandelliano in cui tutto è rovesciato, sottosopra, comincia finalmente a funzionare? Prima che venga scoperta la verità, ci sono scene in cui tutti si muovono in un ingranaggio perfetto, ma al contrario, mentre l’unico fermo, stridente col resto come una nota scordata, è Lori. Quando, però, questi scopre la maschera portata a sua insaputa e cerca di accordarsi a questa nuova realtà sottosopra, tutti trovano per un attimo una cupa armonia, un’andatura comune.

Gabriele Lavia ci regala una messa in scena fobica, scura, che ben rappresenta quel giallo paradossale che è la vita di ogni uomo. L’allestimento è monumentale, come quello che in realtà vuole rappresentare: la morte. In Tutto per bene il “tutto” è morto, coperto di polvere, come dice Manfroni. Lavia sfrutta gli spazi in altezza, schiacciando ogni cosa, e sembra suggerire che tutto quello che assume una forma sia una trappola, sia morte. Le donne, Silvia, come sua madre e poi sua figlia, sono uscite dalla forma-morte-società-matrimonio. E se Silvia, attraverso la sua maternità non voluta, ma anche cercata, avesse consegnato Lori e Manfroni alla trappola della vita? Ecco come Lavia ricostruisce nello spazio il mondo duro, opaco, inerte che Pirandello ci ha raccontato.

Lori dice di potersi accostare solo a chi, dopo la colpa, si pentì. Si aggrappa, così, al ricordo dolce di una menzogna che finirà col ritenere l’unica cosa davvero viva, vera. Alle sue spalle, cadaveri ambulanti si bloccano per poi camminare all’indietro, andare a tempo, sedersi e trovare pace in una posa che ricorda quella sul letto di morte.

In proscenio compare di nuovo la tomba monumento, ma stavolta Lori ha capito il giuoco e, da forestiere della vita, ha qualcos’altro da dire alla morte.

TUTTO PER BENE

di  Luigi Pirandello

regia di Gabriele Lavia

con Gabriele Lavia

e con (in o.a.) Roberto Bisacco, Riccardo Bocci, Giorgio Crisafi, Gianni De Lellis, Giulia Galiani, Lucia Lavia, Riccardo  Monitillo, Daniela  Poggi

danzatrice Alessandra Cristiani

scene Alesandro Camera

costumi Andrea Viotti

musiche Giordano Corapi

dall’8 gennaio al 10 febbraio 2012

Teatro Argentina – Roma

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