Romaeuropa festival: Kornèl Mundruczò

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Un lavoro crudo e difficile, Disgrace. Diretto da Kornèl Mundruczò, lo spettacolo è andato in scena dal 22 al 24 novembre al Teatro Vascello, all’interno del Romaeuropa Festival.

Disgrace

Regia: Kornèl Mundruczò
Musiche: Janos Szemenyei
Drammaturgia: Viktòria Petrànyi
Attori: Annamaria Lang, Orsi Tòth, Lili Monori, Kata Weber, Gergely Banki, Jànos Derzsi, Laszlo Katona, Roland Raba, Janos Szemenyi, B. Miklos Szekely, Sandor Zsoter.
Scene e costumi: Marton Agh
Disegno prodotto da: Proton Cinema­­ Theatre
Coproduzione: Wiener Festwochen, Festival d’avignon, Kunstenfestival Des Arts, Trafò House of contemporary Arts, Malta Festival, Hebbel am Ufer, Romaeuropa Festival
Foto:  Màrton Agh

Con il patrocinio dell’Ambasciata del Sudafrica in Italia

Dal 22 al 24 novembre 2012 – Teatro Vascello, Roma

Vai al programma di Romaeuropa Festival

Gli occhi del pubblico del Teatro Vascello, all’entrata in sala, vengono immediatamente chiamati in causa: una scena piena e colorata, in cui oggetti, gabbie e televisori spiccano nel primo piano di un contorno che dice baracca, baracca sudafricana fatta di cose con storie, accumulate lì, quasi per fortuna e per caso.

Diciamo che la metà dello spettacolo avrebbe dovuto essere speso nell’osservazione della scena. Alcuni degli attori, già presenti ai lati del palco, aspettano che i pubblico entri in sala. L’inizio rivela il primo, e atteso, imprevisto del lavoro: i sottotitoli per una lingua dal suono davvero particolare, probabilmente difficile da gustare per noi italiani, fortunati possessori di una lingua cantata e dal suono emozionale.

Il primo impatto con Disgrace è decisamente devastante: uno stupro in diretta. Un momento davvero realistico, in cui si stenta a sentirsi pubblico e ci si chiede se lo stomaco riuscirà ad arrivare agli applausi, viste le premesse. Questa scena, volutamente tenuta come benvenuto si rivela la più cruda ed è uno dei due momenti chiave del romanzo da cui è tratto questo lavoro: Disgrace di J.M. Coetzee, del 1999.

La storia ci racconta di un padre professore che, dopo aver avuto una relazione con una studentessa, scappa dalla sua terra per andare dalla figlia, trasferitasi in Sudafrica. E’ nel contesto sudafricano che lei subisce lo stupro e che, superate mille problematiche, decide di stabilire la sua casa.

Il lavoro sembra riassumere molte delle cose schifose di cui è fatto il mondo oggi. Si parla di razzismo, di sessualità svenduta, di tristezza storica e di cani abbandonati. Cani, si, come storia parallela alla narrazione: cani addestrati durante il periodo coloniale contro i negri, cani che, dopo la decolonizzazione hanno bisogno di un padrone altrimenti, la morte.

E’ complessivamente un lavoro crudo e difficile da seguire, è un lavoro d’impatto negativo, che non lascia pensieri positivi all’uscita dal teatro. E’ un lavoro di cui voglio ricordare con piacere solamente una frase apparsa sullo schermo dei sottotitoli: «dopo il cranio la parte più dura del corpo di un uomo è la personalità».

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