Romaeuropa: Ascanio Celestini, Discorsi alla nazione

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Un ironico e crudo ritratto della società moderna nell’ultimo spettacolo di Ascanio Celestini, Discorsi alla nazione, in scena al Teatro Palladium dal 7 al 19 maggio, nell’ambito del festival Romaeuropa.

Discorsi alla nazione

Scritto, diretto e interpretato da: Ascanio Celestini

Produzione: Fabbrica

Dal 7 al 19 maggio – Romaeuropa 2013, Teatro Palladium, Roma

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Nella gremita sala del Teatro Palladium il pubblico è accolto da registrazioni di vari discorsi di leader come Gheddafi, Mao Tze Tung, Comeini, Mandela, Berlusconi… A luci ancora accese Ascanio Celestini sale sul palco e introduce lo spettacolo, precisando che il suo Discorsi alla nazione, invece, è ancora un work in progress, e che da quando è nato nove mesi fa, ha subìto e probabilmente subirà molte variazioni. Nel ripetere, di tanto in tanto, che lo spettacolo vero e proprio sta per cominciare, ripercorre la storia politica del nostro paese dalla monarchia ad oggi, e come di consueto pur facendo ridere punge con le parole, e a volte fa molto male. Nel lungo prologo spiega che i personaggi che interpreterà vivono in un immaginario condominio di un fantomatico paese in cui una guerra e una pioggia incessanti li tormentano. La più fastidiosa delle due è di certo la seconda che colpisce tutti indistintamente, mentre la prima a meno che non li coinvolga direttamente è sopportabile: basta un bravo portiere che sposti i cadaveri davanti al portone di casa e consenta agli inquilini del palazzo di uscire.

Durante i monologhi dei quattro condomini, ognuno con la sua particolare mania, Celestini travolge il pubblico col suo tipico e rapido stile affabulatorio per poi lasciarlo tramortito nei momenti di silenzio. Le metaforiche fissazioni dei personaggi, per quanto paradossali, sono sorprendentemente e tristemente reali: i quattro monologhi descrivono quattro aspetti diversi di tirannia a volte lampante, altre volte sottile e insinuante. Dall’uomo che cerca l’anonimato e che, legato alle sue abitudini, arriva ad uccidere chi lo costringe ad abbandonarle, al potenziale cecchino che riesce a vivere solo se ha in tasca la sua pistola che gli offre l’alternativa di uccidere chiunque incontra, anziché rispondergli garbatamente, all’uomo con l’ombrello che, forte della sua condizione comanda su chi non ha l’ombrello, e maschera la sua tirannia con l’offerta di aiuto.

Ma l’amarezza dell’intelligente ironia di Celestini raggiunge l’apice con il discorso del dittatore di questa fantomatica nazione. Il tiranno, senza pietà, descrive ai cittadini – non li chiama sudditi anche se tutti sanno di esserlo, «giusto per evitare loro un’inutile umiliazione» – lo stato di degrado morale in cui sono – siamo – ridotti: un popolo che ha perso la forza di combattere all’urlo di quelle «magnifiche parole» che loro stessi hanno inventato un tempo, come alienazione, o lotta di classe e che sembrano aver dimenticato.

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