Romaeuropa 2013: Rachid Ouramdane

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Il coreografo francese Rachid Ouramdane presenta Sfumato, all’interno del Romaeuropa Festival. I cambiamenti climatici che minacciano il nostro pianeta sono al centro del suo ultimo lavoro.

Sfumato
Coreografia: Rachid Ouramdane
Regia: Laurent Lechenault
Testo: Sonia Chiambretto
Musiche: Jean-Baptiste Julien
Canto: Deborah Lennie-Bisson
Scene: Sylvain Giraudeau
Luci: Stéphane Graillot
Video: Aldo Lee, Jacques Hoepffner
Interpreti: Jean-Baptiste André, Brice Bernier, Lora Juodkaite, Deborah Lennie-Bisson, Klara Puski, Ruben Sanchez
Il testo è estratto dall’opera La Taïga court di Sonia Chiambretto Produzione Erell Melscoët
4-5-6 ottobre 2013 – Teatro Eliseo, Roma

Dal buio escono due corpi fumanti. La scena è immobile, sospesa in una nebbia sempre più fitta, di sottofondo il suono ostinato di un pianoforte senza pianista. Nuvole, smog, un mondo fumoso, un paradiso Sfumato che dà il titolo all’ultimo lavoro del coreografo Rachid Ouramdane. Danza, video e parola sono utilizzati abilmente per denunciare evocando, con la forza elegante di una personale poetica della testimonianza.

Uragani, tsunami, scioglimento dei ghiacciai: un mondo alla fine del mondo che sprigiona un’energia di cui i danzatori si nutrono, per diventare a loro volta quelle forze della natura impazzite. L’uragano arriva e ha l’aspetto di una donna che volteggia al centro della scena, roteando vorticosamente le braccia come fossero le pale di un’elica.

Poi viene la pioggia, effetto di quei cambiamenti climatici che rendono le stagioni indistinguibili e che arrivano a far piovere addirittura nel chiuso di un teatro. Con l’acqua la scenografia spoglia si riempie di schizzi e riflessi di luce; anche la dinamica dei movimenti trova nuove soluzioni. I corpi diventano pioggia, seguendo il ritmo delle gocce, e ne subiscono anche gli effetti. Nel pantano i danzatori scivolano, si contorcono, tentano di sollevarsi ma inesorabilmente ricadono a terra. La pioggia porta anche un pianista, che suona incurante dell’acqua, perché lo spettacolo deve andare avanti, nonostante tutto. Il ciaf ciaf dei piedi nelle pozzanghere si trasforma in un tip tap. Si danza sotto la pioggia, ma siamo lontani dalla spensieratezza di Gene Kelly. Il canto è rotto, affannato e struggente e la danza si fa sempre più nervosa.

Sul finale torna la donna uragano, ma il vortice adesso incontra il mare. Ora sono le gambe che volteggiando nell’acqua creano lo tsunami.
Lo spettatore sta alla finestra, ma il piacere di guardare la tempesta da casa è disturbato da un senso di pericolo imminente che è la forza della danza docu-fiction di Ouramdane, che come sempre affronta temi densi e delicati in maniera grave ma asciutta, come era stato per la tortura in Ordinary Witness.

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