L’AMORE E’ NEMICO DEI SOLITARI

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L’AMORE E’ NEMICO DEI SOLITARI

ovvero l’ultima lettera di Stefan Zweig

testo e regia Elena Matacena

interpreti Giovanni Magnarelli, Francesca Villa

trio d’archi Damiano Babbini (violino), Costanza Pepini (viola), Francesca Centomo (violoncello)

corpo di ballo brasiliano Edoardo Sacramento Da Silveira, Antonio Severo Da Silva Neto, Luzy Ovidio

scenografia Gilda Cerullo

costumi Gilda Cerullo, Sartoria Farani

direzione delle luci e della fotografia Fabio Donato

consulente musicale Leonardo Lollini

media partner Pensieri di Cartapesta

 

Teatro dell’Orologio, Roma

dal 22 al 27 maggio 2012, ore 21.00

L’amore è nemico dei solitari, lo spettacolo scritto e diretto da Elena Matacena, inizia già durante l’attesa. All’ingresso della sala Orfeo del teatro dell’Orologio, un attimo prima che si apra la tenda, il pubblico viene preso per mano e accompagnato in sala da alcuni ballerini. Siamo in Brasile, è fine febbraio ed è Carnevale, la festa che più di ogni altra riesce ad incarnare, con la sua follia collettiva, la forza e la bellezza della vita. All’improvviso, però, siamo aggrediti dal silenzio. I ballerini vanno via e in scena appare un uomo, con tutto il suo dolore. Stefan Zweig, poeta e scrittore austriaco, morì a Petrópolis, in Brasile, esule e suicida con la seconda moglie Lotte. Lo spettacolo prende le mosse dalla sua ultima lettera, quella di un intellettuale stanco e ormai lontano dal mondo, per poi concentrarsi sulle ragioni che determinarono la tragica uscita di scena dei due.

Stefan appartiene a quella generazione che pensava di aver posto le basi etiche per una serena convivenza degli uomini e che poi si è trovata costretta a fare i conti con la seconda guerra mondiale, con quella barbarie anti-umana che si credeva dimenticata. Stefan cerca senza successo di interrogarsi sulla catastrofe che avvolge il mondo, ora io vi chiedo: dov’è l’Europa?, per poi scoprirsi già sconfitto personalmente, già morto, nel 1933, quando i suoi libri furono bruciati. Nella perdita delle illusioni di lui, europeista convinto oltre che fiducioso nella forza salvifica della letteratura, si rispecchia il corpo di lei, logorato dalla malattia al punto da immaginare come migliore qualsiasi soluzione alternativa alla vita.

Lo spettacolo ha il merito indiscusso di saper scivolare lentamente dalla dimensione pubblica, politica, a quella privata, personale, fondendole in un gioco equilibrato di alternanze di sentimenti fino a focalizzarsi su quello che lo scrittore non ha lasciato scritto, non ha detto, ma che, forse, ha provato. Così, davanti alla morte, Stefan (Giovanni Magnarelli) e Lotte (Francesca Villa) ci mostrano un frammento della loro vita, l’ultimo, e lo intessono di ricordi, quelli che imprigionano l’anima. Saudade significa nostalgia, significa che hai lasciato un pezzo della tua anima da qualche parte e non puoi più tornare indietro a liberarla.

La tragedia personale schiaccia i due protagonisti più della catastrofe mondiale in corso. Stefan e Lotte si affrontano in un racconto a due dove aleggia costantemente il fantasma di un terzo personaggio, Friderike, non presente in scena ma vivo e fremente nella memoria di Stefan. La splendida musica di un trio d’archi si poggia delicatamente sui sentimenti per poi distorcere i suoni e picchiettare violentemente le corde di fronte all’ineluttabilità della decisione presa. Lo spettacolo di Elena Matacena ha un profondo rispetto per lo spettatore, che viene lasciato libero di dare una propria lettura di quello che accade in scena. Stefan analizza se stesso, si purifica, per essere pronto all’unico passaggio che gli appare possibile. Un gesto pieno dell’impotenza e della disperazione di chi si sente già uscito dalla Storia e dalla Vita perché la sua parola è morta o che, con un finché morte non ci unirà, assume i contorni di un amore eterno?

E mentre il nostro sguardo segue i due esuli amanti nell’ultimo atto, la vita irrompe di nuovo sul palcoscenico, il suono dei tamburi costringe la tristezza a nascondersi per un pò in fondo al nostro cuore, la festa del Carnevale ci avvolge e ci stordisce, nel suo tentativo, a noi stabilire se riuscito, di sancire la potenza della vita, di affermarsi sempre e comunque contro la morte.


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