L'ALTROVE DIMENTICATO

0

Paolo Benvegnù

http://www.paolobenvegnu.com

Paolo Benvegnù: voce e chitarra

Luca Baldini:  basso

Andrea Franchi: batterie, chitarre, synth, pianoforte

Guglielmo Ridolfo Gagliano: chitarre, synth, pianoforte

Michele Pazzaglia: crackle-box, sound engineering

Simon Chiappelli: trombone

Filippo Brilli: saxofono

05 dicembre 2011  Sala Petrassi – Auditorium Parco della Musica – Roma 

Fotografia: © Silvia Cerri


Quando le luci si spengono sulla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica un non so che di estraneo ed ostile sembra avvolgere il pubblico, come nuotare in un oceano congelato”: Paolo Benvegnù se ne sta sul palco con la sua band come se venisse da un mondo lontano, dimenticato, che tuttavia ci appartiene originariamente. Un mondo in cui le parole risuonano nei loro echi ancestrali e la musica si espande fino a toccarti dentro, negli spazi più remoti lasciati vuoti dalla razionalità del quotidiano, in cui si annida la riflessività senza un senso apparente.

Dopo l’apertura con Il mare verticale scorrono via alcuni pezzi di Hermann, l’ultimo album, e sullo sfondo immagini elettroniche che apparentemente parlano di noi, minuziose e precise riproduzioni dei nostri corpi, dei nostri scheletri, dei nostri organi. Ma è in realtà la vibrante voce di Benvegnù che ci accompagna come in un viaggio verso noi stessi, che non giudica ma racconta, che non riproduce ma descrive. E parla allora davvero di noi, noi che distruggiamo per conquistare, noi che inseguiamo solo perché non possiamo afferrare, noi che siamo “in fila a scegliere uno stile che decide per noi”.

Esiste ancora il sentimento delle cose? Sappiamo riconoscere ciò che non ci appartiene, ciò che non siamo noi a controllare e ad organizzare? Non è l’occhio che vede, non è il corpo che sente: dobbiamo cercarci altrove. Nei nostri respiri, nei moti riflessi e incondizionati della nostra intimità e mentre Benvegnù intona La schiena compare per la prima volta sullo sfondo un occhio vero, l’occhio azzurro di una donna che ci guarda. E se anche lui è lì a ripeterci che È solo un sogno, che non possiamo inventare niente e che tutto resta uguale, ormai la musica è fuori da ogni controllo, il suo e il nostro, e con la potenza che solo il rock magistralmente suonato sa produrre, siamo ormai radicati nell’altrove. Alla fine quel posto tappezzato di piccole e abbaglianti squarci di verità, quel posto che ci sembrava prima angusto e scomodo, diventa rifugio dal quale non si vuole più uscire.

Continua a cantare, continua a farci pensare. Benvengù si accorge dell’esigenza del suo pubblico e va avanti fino a quando le luci della sala non si accendono come ad avvertirlo e ad avvertirci che il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo e che quel “viaggio senza destinazione” deve ormai finire. Così recuperata un po’ della sua verve ironica, prima inibita dall’imponenza del posto («che  emozione stare qui, sono abituato ai sottoscala») chiude ringraziando Dio per averlo fatto troppo poco intelligente (pezzo degli Scisma) in cui nelle ultime battute riconosciamo a sorpresa una rockeggiante Alejandro di Lady Gaga.

Che ché lui ne dica, è proprio con intelligente ironia che ci ha traghettato verso il fin troppo reale che ci attendeva fuori e che orami ha colori e sapori diversi.

 

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Avatar

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi