Stefano Odoardi | Conversazione

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Mancanza-inferno di Stefano Odoardi ci ha colpiti come un dardo nella notte.

Dopo la pubblicazione della recensione ci siamo messi in contatto con il regista, perché la sola visione del lungometraggio non basta a placare la sete d’emozione e soprattutto la curiosità relativa alla genesi, all’evoluzione, al seguito, al cammino intrapreso da Stefano Odoardi, che lo ha portato e lo porterà ancora a mostrarci i suoi dark side of the moon.

Andrea Palazzi: è estremamente affascinante come tu abbia creato una similitudine tra catastrofe naturale e dramma interiore di ognuno. Quella mancanza, quel vuoto che cerchiamo di colmare vivendo. L’imprigionamento in un mondo astratto, quella rete metallica che personifica il blocco mentale che si ha quando proviamo dolore esistenziale. Disagio, paura, perdita delle consapevolezze più semplici. Ecco, da dove parte Mancanza-Inferno?

Stefano Odoardi: Come tutti i miei film, Mancanza parte da una mia ricerca personale, nella quale io stesso mi pongo domande che poi cercano una risposta attraverso il mio fare cinema e arte. La domanda è stata quella relativa al senso di vuoto che io stesso spesso provo, quella sensazione di vertigine e di assenza che appartiene in fondo alla vita e alla conseguente necessità di viverla. Sono contento di leggere, nella tua domanda, una vera comprensione del film, che non è mai voluto essere un documentario o un film sul terremoto, ma come dici tu: creare una similitudine tra catastrofe naturale e dramma interiore di ognuno. Mi interessano i temi universali, mi interessa riflettere sull’essere umano e in particolar modo sulla fondamentale relazione tra essere umano e natura. Perché noi esistiamo in uno spazio, spesso ostile se pensiamo alla società, ma poi così straordinario se pensiamo alla simbiosi tra uomo e natura. Natura che può essere devastante, o che ci può accogliere, ma che comunque ci conforta.

A.P.: Rilke nella sua IX Elegia parla della creazione artistica come soluzione al problema vitale, ovvero come soluzione alla morte, reale o figurata che sia. Credi davvero che in un mondo capitalista e, per certi versi, borghese la salvezza sia qualcosa di così interno, di così profondo, di così ascetico, per usare termini rilkiani?

S.O.: Noi creiamo la Realtà. In questo senso l’ascesi di Rilke è intesa come possibilità di creare una realtà visionaria. Una realtà potente che può mutare lo stato delle cose. L’arte e gli artisti hanno un profondo valore in tutte le società, anche in quella borghese nella quale viviamo. Il mio non è un discorso politico, non mi interessa la politica. Ma l’arte, in silenzio, costruisce mondi impensabili e li fa esistere, con discrezione, senza che quasi nessuno se ne accorga. L’arte è una presenza costante e necessaria per l’evoluzione dell’universo. L’opera d’arte segue il percorso della creazione ed ecco perché è sempre unica, vitale e irripetibile. Mancanza è un progetto che nasce come un evento irripetibile, è una creazione che si concretizza in un atto vitale. Ti confesso che come artista, attraverso Mancanza, riesco a raggiungere livelli molto alti e avverto quasi il senso dell’Eternità. Ma perché questo accada bisogna avere coraggio e seguire l’arte come atto umano. L’arte ti porterà sempre dentro te stesso e solo così potrà nascere una vera ascesi che potrà creare altre realtà. In fondo, il trucco della borghesia e della società capitalistica, è quello di farci credere che esista una sola realtà, spesso una realtà in crisi, ma l’arte è sempre dietro l’angolo a smascherare questa finzione.

A.P.: Come hai vissuto l’impatto con L’Aquila?

S.O.: Con molto dolore, perché mi sono confrontato con l’incuria dell’essere umano e della società. Perché un terremoto è un atto naturale contro il quale non possiamo fare nulla, ma dalla distruzione e dal terrore possiamo solo rinascere, questo sicuramente sì. Ma a L’Aquila, la cosiddetta Realtà di cui parlavo, ha impedito la rinascita. Si sono create delle energie opposte che hanno sfruttato la debolezza e la fragilità delle persone in quel momento. L’Aquila sarebbe potuta diventare un simbolo per il Mondo del valore della rinascita e di una nuova visione. È stata ed è ancora un’occasione persa.

A.P.: Sappiamo che Mancanza-inferno è il primo capitolo di una trilogia. Sappiamo anche che sei già di nuovo al lavoro. Qualche anticipazione? E magari la promessa che lascerai l’occasione a Nucleo Artzine di recensire ancora le tue produzioni?

S.O.: Mancanza è una trilogia sull’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Tre condizioni, tre mondi immaginari che appartengono all’essere umano. Non c’è nulla di religioso in questo progetto che pone, appunto, l’essere umano al centro e null’altro. Non posso parlare molto del nuovo lavoro proprio perché Mancanza è un progetto non scritto, non pensato direi. Non basta dire che non ha una sceneggiatura, realmente non utilizzo mai la parola scritta per definirlo. è un lavoro che fa della limitazione un atto vitale. Posso però dire che sto per girare prestissimo il Purgatorio. Avrei voluto girarlo su un’isola e lo girerò in Sardegna. Angelique Cavallari sarà sempre la protagonista nel ruolo dell’Angelo e inoltre, lavorerò con 20 abitanti del quartiere di Sant’Elia a Cagliari. Il lavoro di pre-produzione è già iniziato mesi fa, ho già scelto gli abitanti di Sant’Elia e con loro non girerò nel quartiere degradato ma li porterò in un luogo metafisico e visionario per de-contestualizzarli dalla loro realtà quotidiana facilmente definibile e catalogabile. Mentre l’Angelo sarà su una nave cargo che trasporta container e con lei partiremo da Cagliari in un lungo viaggio in mare verso l’ignoto. Il film è prodotto dalla O film in coproduzione con la Strike fp e a produzione associata di De Productie (Olanda) con il prezioso supporto della Fondazione Sardegna Film Commission. E sarei felicissimo di avere di nuovo una vostra recensione, perché la vostra linea editoriale ha molte affinità con la mia ricerca nel linguaggio cinematografico.

A.P. A volte le mancanze ci fanno ritrovare.

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Autore

Andrea Palazzi

"Il passato è presente in ogni futuro". Andrea Palazzi scrive quello che i suoi occhi osservano e quello che la sua epidermide del cuore assorbe. Nelle sue recensioni traspare la continua ricerca tra l'esatta posizione delle cose e la loro giusta dimensione. Per lui l'arte è l'interazione emotiva tra chi crea e chi osserva.

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