All In Festival |Intervista a Federica Rosellini

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Francesca Woodman, Polka Dots #5, 1976

Francesca Woodman, Polka Dots #5, 1976

 
 
POLKA DOTS
di Francesca Manieri e Federica Rosellini
con Elvira Berarducci, Giacomo Citton, Arianna del Grosso, Paolo Ghedina,
Isabella Lasagna, Mariapia Scattareggia, Sabiha Simionato
Disegno luci e foto di scena Maria de los Angeles Parrinello
Costumi Sabiha Simionato
Elementi di scena Fabio Ceolin

regia Federica Rosellini
 

 

1) Nelle tue regie, quanta importanza ha l’influenza delle arti figurative? Trattandosi di un lavoro ispirato alla Woodman, come si articola il processo compositivo di scrittura scenica nel riprodurre le sue opere che hanno formato di fotografie attraverso l’arte dello spettacolo dal vivo?

Come prima cosa volevo ringraziarti per questa intervista e per l’attenzione che stai dedicando al mio e al nostro percorso. Tornando alla tua domanda. Le così dette arti figurative influenzano sensibilmente il mio lavoro. Lo fanno sempre, anche quando devo affrontare uno spettacolo come attrice (creo delle cartelline con tutte le immagini e le opere d’arte che possano essermi d’aiuto nell’impersonificare uno specifico personaggio e che trovo interessanti per un’ atmosfera, un particolare gesto, una velatura nello sguardo eccetera). Questo è esponenzialmente vero quando mi trovo a cercare di immaginare la regia di uno spettacolo. Per esempio BIGODINI (OH, MARY), l’adattamento del Frankenstein con cui siamo in scena in questo momento al teatro dell’Orologio, per me è strettamente legato al lavoro di Kiki Smith e alle sculture di Christina Bothwell. Con POLKA DOTS ho voluto rendere questo processo creativo materia della messa in scena, ma lo spettacolo sulla Woodman non è che la prima parte di un più ampio lavoro di ricerca sulla fotografia al femminile. Con ARIEL dei MERLI infatti stiamo preparando una trilogia dedicata a tre grandi fotografe del secolo scorso: Francesca Woodman, appunto, Diane Arbus, e forse la meno nota Sibylle Bergemann.  In questi spettacoli le immagini tratte dall’opera delle stesse artiste si fondono, quasi come fossero una sorta di persistenza retinica, con suggestioni  desunte dalle loro biografie.

 

2) Anche in POLKA DOTS é presente la collaborazione con Francesca Manieri. Quando ha inizio il vostro sodalizio artistico e qual é l’apporto complementere a entrambe nella composizione drammaturgica? Condividete la stessa formazione, e se no, quali sono i vostri punti d’incontro?

Ho incontrato Francesca Manieri durante le prove di “Il Corsaro Nero” per la regia di Pierpaolo Sepe, lei era drammaturga e io attrice. Credo sia stato uno degli incontri più fortunati della mia carriera, ne è nata una collaborazione strettissima, ripensandoci, proprio durante uno dei nostri primi incontri parlammo della Woodman con cui Francesca condivide il nome. Veniamo da percorsi differenti: lei laurea in filosofia e diploma di sceneggiatura al CSC, dove insegna e io attrice formata al Piccolo di Milano e violinista.  Studiamo lungamente gli spettacoli insieme, discutiamo e litighiamo infine ognuna fornisce l’apporto più proprio alla sua provenienza.

 

3) Come si svolge la direzione degli attori in questo spettacolo? Da attrice, pensi che la recitazione debba avere un’impronta più psicologica o fisica? Parliamo di corpi/figura o di personaggi?

La direzione dell’attore nella mia compagnia è qualcosa che viene condiviso più che imposto. Amo lavorare piuttosto su una recitazione di impronta fortemente fisica in tal senso mi sento di parlare di corpo/figura. Il corpo e il suo peso specifico sono il perno del mio teatro, anche laddove lo spettacolo richiedesse l’adesione a un personaggio, per semplificare, comunque questa si espleterebbe attraverso una ricerca fisica.

 

4) Che ruolo ha la drammaturgia sonora nella tua scrittura scenica? Serve da supporto o ha un carattere primario nella composizione?

La drammaturgia sonora ha un enorme rilievo nella mia/nostra ricerca. La parola è  segno denso, ma a tratti evocazione lontana, può essere frazionata, perdere aderenza con lo spazio scenico, divenire traccia mnestica, quindi tutto ciò che aiuta a frammentare, riprodurre e alterare l’ordine comunemente noto dei suoni e dei segni è per noi di cruciale importanza. Ad esempio in Bigodini, l’incontro con Elisa Natali, ci ha consentito la sperimentazione della loop station e la possibilità di produrre nell’utero del teatro l’intera congerie dei suoni che accompagnano lo spettacolo.

 

5) La scelta di figure come Mary Shelley in BIGODINI(Oh mary) e Francesca Woodman in questo caso, personalità femminili controverse e rivoluzionarie, ha delle ragioni etiche oltre che estetiche? Quali?

Il nostro desiderio è ricostruire a teatro una genealogia femminile. Iniziare a narrare il femminile fuori dagli stereotipi maschili che lo connotano univocamente, per fare questo stiamo intessendo un fitto dialogo con le figure di donne che ci hanno formato  e deformato. Come dire la storia siamo noi, madri e figlie. É una trazione ovviamente in primo luogo etica, ammesso che quando una poetica si cerca, sussista una distinzione tra estetica ed etica.

 

 

 

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Redazione

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