Festival Equilibrio 2013: Dave St Pierre, Creation 2012

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Dopo La Pornographie des âmes e Un peu de tendresse bordel de merde!, la trilogia epica di Dave St Pierre si conclude con Creation 2012, uno spettacolo degno di successo e pregno di forti emozioni che fanno di noi umani degli esseri vivi su questa terra. Dell’amore, dell’essere umano, della vita e della morte si è da sempre parlato, scritto, cantato e fantasticato e all’Auditorium Parco della Musica Dave St Pierre ci racconta la sua esperienza, dilettando e sbattendoci in faccia la verità su noi stessi e sul nostro mondo.

Creation 2012

Di Dave St Pierre
Creato in collaborazione e interpretato da: Karina Champoux, Marie-Ève Carrière, Marie-Ève Quilicot, Joannie Douville , Sarah Lefebvre, Nadine Gerspacher, Natacha Filiatrault , Susan Paulson, Aude Rioland , Francis La Haye, Anne Thériault , Alanna Kraaijeveld, Éric Robidoux, Philippe Boutin, Christian Garmatter, Frédéric Tavernini, Luc Bouchard-Boissonneault, Alexis Lefebvre , Marc-André Goulet, Milan Panet-Gigon , Michael Watts, Renaud Lacelle-Bourdon, Julien Lemire , Vincent Morelle, Simon Fournier
Con, in alternanza: Jérémie Francoeur, Philippe Thibault-Denis, Capucine Goust
Drammaturgia : Geneviève Bélanger
Compositori : Stéphane Boucher, Tomas Furey

16 e 17 febbraio 2013 – Equilibrio. Festival della nuova danza, Auditorium Parco della musica, Roma

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La firma del coreografo canadese Dave St Pierre si riconosce ancor prima di prendere posto, quando ad accogliere l’entrata del pubblico in sala Petrassi non vi è un palcoscenico vuoto, bensì tutta la compagnia di danzatori che si muove liberamente sul palco. Di lì a poco St Pierre presenta la serata in inglese ed in francese e, via!, si entra nel vivo della performance: 16 Cupido, o meglio, 16 corpi integralmente nudi e coperti esclusivamente da un paio di ali bianche, incominciano a creare un gran baccano fino a stringersi intorno a due figure – una maschile ed una femminile – legate ed imbavagliate a mo’ di ostaggi, simmetricamente una a destra del palcoscenico e l’ altra a sinistra. Si capisce sin dall’inizio che i due sono ostaggi e vittime dell’amore.

Si alternano sequenze funzionali per l’avanzamento della narrazione e sequenze descrittive di coreografia, durante le quali si rimane a bocca aperta per l’energia vulcanica dei danzatori. Di grande impatto visivo sono, infatti, le sequenze di gruppo coreografate, dove la fortissima energia della compagnia si esprime al meglio, grazie anche alle luci sulla passerella composta di tavoli, alle ginocchiere e alle scarpe nere indossate e ai salti felini tra un taglio di luce e l’altro.

L’inesorabilità e l’inevitabilità dell’amore sono espresse in una maniera inequivocabile, ritmata e cadenzata dalle cadute e dai salti estremi su pedane e tavoli roteanti: uno dopo l’altro e poi tutti insieme i danzatori si alzano in piedi gridano «this means to fall in love» e letteralmente si buttano per terra, per poi rialzarsi e ricominciare.

Il desiderio incontrollabile e quasi masochista di lanciarsi contro il partner e prima ancora di lanciarsi nel vuoto, verso qualcosa che non si conosce, è l’impulso irrefrenabile dell’amore e del morire d’amore, concetto che viene portato all’estremo nel duo violento e passionale.

La struttura narrativa è semplice, diretta ed efficace, tanto che le due ore passano in un batter d’occhio. Semplici, eleganti, multifunzionali ed essenziali sono i tagli delle luci e le scenografie, che vengono costruite direttamente in scena per via dell’inesistenza dalle quinte.

Divertente e briosa è la scena dei Cupido seduti in cerchio che dopo una seduta di psicoanalisi di gruppo, scendono dalle nuvole del paradiso – il palcoscenico – e arrivano sulla Terra per andare a pescare un umano tra il pubblico. Uno degli impavidi interpreti della compagnia, integralmente nudo, abbatte lo spazio canonico tra pubblico e artisti pescando un volontario da portare sul palco, e con una bambola gonfiabile tira su un “siparietto” che mette in ridicolo alcuni aspetti della nostra società.

Tipico di tutte e tre le pièces di St Pierre è l’utilizzo dei copri nudi come metafora dell’essere umano denudato di tutto. Lo sfinimento fisico e l’indagine viscerale dell’animo dei danzatori è la caratteristica più pregante del lavoro che lo rende vero, geniale, genuino e profondo. Ciò è reso possibile grazie alle forti e diverse personalità dei danzatori della compagnia, che l’enfant terrible canadese spreme fino allo stremo, ma che rispetta profondamente dandogli pause giuste in scena per farli recuperare.

La costruzione dello spettacolo è circolare: avendo il coreografo aperto e presentato la sua creazione, è lui a chiuderla presentando i suoi danzatori uno ad uno.

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Autore

Audrey Quinto

Mi diletto a tradurre in parole quello che trovo emozionante quando assisto ad uno spettacolo di danza

1 commento

  1. Pingback: Romaeuropa Festival | Frédérick Gravel, Usually beauty fails| recensione

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