Enzo Cosimi | Sopra di me il diluvio

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photo Stefano Salvetti

photo Stefano Salvetti

Regia, Coreografia, Scene, Costumi Enzo Cosimi
Collaborazione alla coreografia
Paola Lattanzi
Interprete
Paola Lattanzi
Video
Stefano Galanti
Musiche
Chris Watson, Petro Loa, Jon Wheeler
Frusta sciamanica
Cristian Dorigatti
Disegno luci
Gianni Staropoli
Organizzazione
Maria Paola Zedda, Flavia Passigli
 
28 Ottobre 2015, Teatro Vascello, Roma

Il divenire-animale del corpo, così come esposto da Deleuze, in particolar modo ne La logica del senso1, consiste nella capacità del soggetto di andare oltre-di-sé, fuori dalle proprie costrizioni e posture quotidiane, incontrando l’abisso e le sue profondità. Metafora dello scavo dell’inconscio e dei suoi fantasmi rimossi che riaffiorano in superficie, il divenire-animale è un concetto riferito principalmente alla poetica artaudiana, intesa non unicamente come ricerca di una corporeità differente, ma innanzitutto come esaltazione dell’irrazionalità nel linguaggio, della sua soppressione attraverso il riaffiorare del pre-linguistico e delle sue brutture erette a lirismi barbari.

Sopra il diluvio, assolo creato dal coreografo Enzo Cosimi e cucito addosso alla danzatrice Paola Lattanzi, è la manifestazione di un’urgenza, il territorializzarsi dell’energia della parte inferiore del corpo che di fatto possiede ed è posseduto dalla sua auto-rappresentazione: possessione demoniaca e primitiva del rito della danza, assoluta perfezione del non-riconoscile, vetro appannato con impronte di mani, orme che segnano un concetto immortalandolo nel buio della ragione.

Un televisore accesso e due poltrone vecchie e tappezzate, un salotto lynchiano costellato da ossa scarnificate – che ricordano la performance Balkan Baroque di Marina Abramović – sono gli oggetti con i quali interagisce Lattanzi, che rimanda all’estetica da set fotografico erotico, con tacchi neri, alti e verniciati e null’altro se non una canotta e una culotte nera indosso. Anche questi minimi orpelli verranno spazzati via, dall’avvento del diluvio.

Catastrofe esistenziale espressa dalle immagini proiettate nel liquame del video e mostrate attraverso un montaggio caotico e randomico; dall’Africa volti senza nome e senza parola affiorano come una moltitudine pronta al Giorno del Giudizio. Sangue, teschi, spiagge desertiche, rappresaglie e occhi senza volto e senza grazia umana (per parafrasare Eyes without a face di Billy Idol) che interrogano l’ameba occidentale stravaccata nel suo perimetro abitativo. Intrattenimento da telegiornale delle otto.

Le figure liquide si manifestano sulla scena assieme al loro doppio: delle ombre su fondale nero, accompagnate da effetti sonori ambient, rimandano a una pre-civiltà rimasta tale con cui l’Occidente non sa (né vuole) fare i conti. Imperialismo usa e getta del medium televisivo che di fatto dileggia l’ego della figura di Lattanzi, che si sgretola man mano che la rappresentazione prosegue.

Il corpo incontra allora altre dinamiche: il suolo, il sesso, il grido. Avviene una trans-figurazione che porta il caos nel micro-cosmo borghese e che fa iniziare una danza rituale nell’annebbiamento causato da un fumo copiosamente utilizzato per spostare la percezione ottico-retinica verso una rarefazione del senso. Le ossa in scena sono le ossa della danzatrice, la sua respirazione incontra l’animalità, le percussioni del tappeto sonoro sono la spina dorsale eterodiretta, dall’istinto primordiale all’incontro con le divinità arcaiche.

Se avviene un’invocazione, ed ogni rito ne ha la funzione, essa è incontrovertibilmente verso entità immateriali ; la danza funesta e allo stesso tempo liberatoria del finale è il contrappunto del travestimento da boia sputa-sangue (finto) raggiunto nel mezzo, in un processo che va per gradi, seguendo la narrazione di una singolarità che si fa paradigma concettuale, problematizzando un dato antropologico e sociale attraverso una partitura coreografica che aderisce alla drammaturgia come un guanto, senza momenti di distensione, in un climax per accelerazione.

Sopra di me il diluvio è il cataclisma della ragione e la solitudine morale che solo un rituale (irreale) può spezzare. È finzione in quanto rappresentazione, dunque tentativo oltre-umano di uscire dalla gabbia dell’identità culturale per incontrare la pulsione, l’istinto, il primordiale contatto col divino e con l’altro-da-sé. Nello spettacolo di Cosimi si va incontro a una originarietà dell’atto performativo, che arriva alla sua radice taumaturgica e divinatoria e in cui il contatto con l’alto non può che partire dalle fertili bassure dell’animo umano.

1 Gilles Deleuze, Logica del senso, Milano, Feltrinelli, 2011

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Autore

Redazione

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