Daniel Pennac | Journal d’un corps

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© Pascal Victor

© Pascal Victor

di e con Daniel Pennac
adattamento teatrale Clara Bauer e Daniel Pennac
regia Clara Bauer
scene, costumi e luci Oria Puppo
musiche Jean-Jacques Lemêtre
produzione C.I.C.T. / Théâtre des Bouffes du Nord
in coproduzione con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Compagnie Mia
produttore delegato per l’ltalia Roberto Roberto, Laila srl 
 
24 marzo 2016, Teatro Argentina, Roma
 

Un uomo e il racconto dettagliato del suo corpo, scandito attraverso crescita, dolori fisici, imbarazzanti momenti intimi: questa è la materia del testo firmato Daniel Pennac Journal d’un corps – Storia di un corpo, andato in scena al Teatro Argentina.

Daniel Pennac stesso legge il suo romanzo, da cui trae alcuni dei brani più significati ed intensi, nutriti dalla sua inconfondibile vena poetica mescolata a quella comica. Assieme alla regista della messa in scena, Clara Bauer, adatta il testo che avvolge in un ammaliante francese il pubblico, il quale non si ritrova ad essere un lettore silente, ma un partecipante ad una festa in cui si celebra il corpo: e così, immediata, arriva la forza del contenuto poiché esso è condiviso e coinvolge tutti i presenti. L’interpretazione è semplice e devota alla bellezza delle parole e Pennac sembra essere un papà che legge una favola prima di andare a dormire, una storia emozionante per l’universalità che possiede. Sono quei piccoli gesti del corpo, quei brividi che passano attraverso il tocco, i profumi dell’infanzia e i momenti di stanchezza che rendono l’opera un’evocazione di tenerezza, stupore, dolcezza e dolore, un susseguirsi di emozioni che per nascere necessitano della sensibilità corporea che l’ardito protagonista racconta come un’epopea storica durata generazioni. Eppure è solo un corpo, nemmeno troppo straordinario per le qualità che descrive.

La scelta scenografica è semplice ma efficace. Un tavolo che sembra quasi un prato per l’erba che vi è cresciuta sopra, sul quale il lettore sembra annotare ad alta voce il suo diario: quasi un intimo rifugio del ricordo giovane dello stare sdraiati al sole a sentire la natura scorrere lenta e modificare la corporeità. Su di esso una pianta fragile, di cui prendersi cura ma imprevedibile nello scorrere del suo tempo, a cui il protagonista parla come un interlocutore. Lo scandire dei giorni proiettato sul retro e un’illuminazione particolare, fatta di lampade da soffitto basse, di quelle che creano una campana di luce sul corpo che vi si trova sotto: sempre sotto una lente d’ingrandimento il corpo, vero protagonista dell’azione, unico attore reale della vita – del protagonista, ma anche di ciascuno dei presenti –, si mostra senza vergogna, perché in fondo di cosa c’è da vergognarsi nel possedersi e nel sentirsi fisicamente?

Con estrema delicatezza e senza mai voler imporre un insegnamento di vita, il testo scorre lasciando un sapore dolce e malinconico, divertente e romantico, ammaliante e dichiara profondo amore a quel luogo forse troppo tralasciato e abbandonato, considerato un involucro forse volgare di istinti più alti e morali, capace di bloccarsi nonostante la spinta più nobile che l’animo possa avere. Un mezzo, il corpo, che forse è capace di dialogare in modo più spontaneo con il nostro desiderio, un consapevole saggio che è dono di noi tutti.

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Autore

Ludovica Avetrani

attrice, danzatrice, curiosa. caporedattrice delle sezioni di teatro e danza. odia le maiuscole.

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