Cherry Doc's

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Dal 5 al 14 Aprile in scena al Teatro dei Conciatori è in scena Cherry Doc’s, l’acclamata opera dell’americano David Gow, per la regia di Antonio Serrano. Antonio Bonanotte e Pierfrancesco Ceccanei sono gli attori che con limpida bravura hanno dato corpo ad un dramma contemporaneo, una partita a scacchi tra pregiudizi e paure, sullo sfondo di un’America che è ancora e forse lo sarà per sempre, terra di grandi contraddizioni.

Cherry Doc’s

Di: David Gow                                                                                 
Regia: Antonio Serrano
Con: Antonio Bonanotte, Pierfrancesco Ceccanei, Lisa Bruscolini, Jessica Fainelli
Scene: Dario Dato
Costumi: Marta Genovese
Musiche Originali: Flavio Mainella

Dal 5 al 14 Aprile 2013 – Teatro dei Conciatori, Roma

La pièce si apre con una sorprendente analisi, fatta da una voce fuori campo: a quanto pare, la maggior parte delle persone, con l’utilizzo delle scarpe, tende a coprire una delle parti più sensibili del corpo umano, e cioè i piedi. Secondo alcune credenze orientali, la sensibilità del piede nudo, oltre a costituire una sorta di iniziale propedeutica spirituale, stabilisce anche il primo contatto che l’essere umano ha con la Terra.

In seguito al bucolico preambolo, si viene subito accolti, come da un graditissimo pugno allo stomaco, creando una riuscitissima idiosincrasia, da uno dei due protagonisti, il giovane neo-nazi Mike, che introduce il pubblico alla bellezza degli anfibi Cherry Doc’s, marchio distintivo del gruppo di appartenenza pacifista del giovane reazionario. Nell’evolversi della vicenda, vediamo che in seguito all’accusa di omicidio di un uomo pakistano, perché ebreo, il puro e timoroso agnellino anarco-insurrezionalista, sarà costretto ad affidarsi al molto competente e nevrotico avvocato Dan, uno tra i tanti e anonimi ebrei tecnocrati, seguace di un’american Beauty sempre più ossessiva e sempre più compulsiva.

Il ritmo è riuscitissimo, e dopo un po’ gli unici due protagonisti della storia entrano già, per osmosi, nella pancia degli spettatori; i dialoghi sono serrati, e il tutto è servito su una succulenta partita a scacchi psicologica in salsa made in Usa. L’opera diretta da Antonio Serrano è una specie di arakiri capovolto, gli attori indagano le interiora, sezionando, scrutando, analizzando tutto ciò che si agita nelle pulsioni più intime, per poi farle schizzare fuori come in un film di Tarantino: fino a quanto possiamo dirci tolleranti? Fino a quanto possiamo accettare l’altro? Fino a quanto possiamo dirci fedeli? Un popolo perseguitato dopo tanti anni riavrà mai Giustizia?

Gli stessi Mike e Dan, vittime e allo stesso tempo colpevoli, ma di quella colpevolezza che avevano già esplorato e compreso perfettamente i grandi tragici greci Eschilo, Sofocle e Euripide, ovvero che gli attori loro malgrado diventano e incorporano nella (meta)finzione scenica tutte le passioni dell’animo, buone e cattive, per mostrarle, non per spiegare cosa sia giusto, o cosa sia sbagliato, ma per partecipare, almeno nell’intenzione, alla scoperta di cosa sia questo magnifico rompicapo che si chiama uomo.

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