César Brie | Orfeo ed Euridice

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 © Manuela Giusto

© Manuela Giusto

 
regia César Brie
con Giacomo Ferraù e Giulia Viana
musiche Pietro Traldi
costumi Anna Cavaliere
disegno luci Sergio Taddo Taddei
produzione Teatro Presente
in co-produzione con Eco di Fondo

 18 novembre 2015, Teatro dell’Orologio, Roma

 

Dal 17 al 22 novembre la sala Moretti del Teatro dell’Orologio ha ospitato Orfeo ed Euridice di César Brie, lavoro finalista del premio In Box 2014.

Una figura accoglie il pubblico, presentandosi come Caronte, il traghettatore dei morti. Il suo intervento è prettamente di servizio, la sua funzione è quella di remare e portare nell’oscurità le anime di coloro che sono trapassati e in questo non vi è alcuna possibilità di stupore, l’azione è ripetitiva e costringe forse ad un freddo cinismo. Tutto cambia quando nell’Averno scende il corpo vivo di Orfeo, che reclama l’anima della sua ninfa Euridice. Il suo canto melodioso gli permetterà di avere una sola possibilità per riabbracciarla e la necessità di agire per amore piega qualsiasi legge naturale, senza tener conto del traguardo finale.  E’ di questa forza che è intrisa la pièce di Brie.

La scena è semplice: un lungo corridoio di tessuto attraversa in diagonale lo spazio scenico, creando un percorso che termina con un risvolto ed un cuscino, a mo’ di letto, che simboleggia il luogo intimo e privato per antonomasia di una casa per una coppia d’amanti. Su questa strada bianca si incontrano al rallenty le vite di due giovani – Giacomo Ferraù e Giulia Viana –, lui nervoso e anelante, lei morbida e accogliente; su questa strada scattano le prime fotografie, tessono i loro privati ricordi, si accoccolano nel torpore della quotidianità dell’amore. Di questo amore il pubblico sorride, sospira, si intenerisce, ritrovandocisi. Ed è proprio per questo istinto che il pubblico si proietta nella situazione che lo coinvolge maggiormente, nel momento in cui l’Amore incontra la Morte – ρως e θάνατος: un’incidente, una morte apparente perché il corpo di chi lo ha subito è appeso ad un filo, anzi, a molti fili, a macchinari, che respirano, mangiano, vivono al suo posto. Un altro corridoio bianco si srotola lungo la diagonale opposta, delimitando un’altra strada, quella dove l’anima intrappolata della Viana è costretta a vagare, nel buio, non essendo più cosciente e padrona dei movimenti, delle emozioni, dei ricordi. Un burattino appeso a dei fili manovrati da medici-burocrati, di fronte allo sguardo stanco del compagno che cerca di farsi coraggio, che dall’amore e dal rispetto per questa donna prende la forza per poterle permettere di morire in pace.

Il lavoro non guida il pubblico verso risposte su temi profondamente attuali e controversi quali l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, ma verso un turbinio di domande ed opinioni essenzialmente private, questioni su quanto debba essere dignitosa la morte, al pari della vita. La pièce è di una bellezza struggente, accompagnata dalle melodie di Pietro Traldi che richiamano i suoni pizzicati da Orfeo nell’oltretomba, in cerca della sua Euridice. Gli attori traducono con estrema sensibilità e bravura, trasportandosi e sostenendosi vicendevolmente nelle scene più difficili, la regia di Brie, essenziale e semplice per lo svolgimento di un contenuto complesso. Si alternano immagini delicate e intense, si gioca fra gli equilibri di silenzio sospeso e suono, si richiama un passato sfumato in una fotografia e il presente dai tratti graffianti e decisi. Ed è questa altalena fra il prima e l’adesso a dare la forza all’Orfeo/Ferraù di continuare sul percorso della vita, senza aver paura di non voltarsi – questa volta –, proseguendo anche se in una solitudine dove tirare un sospiro di sollievo per la mancanza reale, prendendo forza da questo amore passato, che non vuole ingabbiarlo in un presente incerto, ma che lo spinge inesorabilmente verso il futuro.

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Autore

Ludovica Avetrani

attrice, danzatrice, curiosa. caporedattrice delle sezioni di teatro e danza. odia le maiuscole.

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