Bernardì Roig | La Bolannntro’w

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Artista: Bernardì Roig

Titolo: La Bolannntro’w

Luogo: Galleria Marie-Laure Fleisch, Via di Pallacorda 15 http://www.galleriamlf.com

fino al 28 novembre 2015

«La Bolannntro’w» è la trascrizione fonetica in spagnolo della frase «La palla era dentro!» pronunciata dal giocatore di tennis John McEnroe, nella finale di Wimbledon del 1981. Ma perché questa scelta nel titolo? I temi centrali della mostra sono la violenza, sia verbale che gestuale, l’aggressività e l’isolamento; non a caso è allestita a via di Pallacorda, dove nel 1606 Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ferì il suo rivale Ranuccio Tomassoni, dopo una lite durante una partita a pallacorda, versione antica del tennis. Probabilmente un pretesto per contendersi la stessa donna. Ranuccio morì dissanguato e Caravaggio scappò da Roma perché condannato a morte in contumacia.
Due fatti lontani nel tempo che Bernardi Roig, artista nato a Palma di Maiorca nel 1965 e vincitore di importanti premi, mette a confronto legando ciò che vede: la memoria del luogo e gli eventi storici. Entrando nella galleria, il bianco domina la sala. Un tavolino, sempre bianco, sorregge la scultura di un uomo sofferente che sembra autopunirsi con le mani sul volto e il sangue nero colante da sotto il suo cappello simile alla forma dei copricapo da cardinale. È una visione teatrale sia per la gestualità che per l’effetto luminoso: fari al neon posti sotto al tavolo proiettano una luce fredda che rende l’atmosfera ancora più estraniante e perturbante alla vista. Dietro lo spettrale uomo, all’angolo della sala, un piccolo televisore, poggiato a terra, è circondato da molte palle da tennis nere, eccetto una bianca. L’apparecchio trasmette la finale di Wimbledon del 1981, ma alcune azioni ed esclamazioni sono replicate tre volte, enfatizzando la loro violenza verbale. Le ripetizioni creano un’empatia tra l’osservatore e le persone nel video perché rafforzano il senso di irritazione che entrambi provano. In particolare nella partita si è nervosi per la convalida del fuorigioco, mentre lo spettatore è irritato dalle parti ripetute del filmato.

Sulle due pareti poste dietro allo schermo, troviamo disegni in cui la linea a grafite, sebbene dominante, si mescola col tratto pesante del carboncino: qui l’artista unisce tradizioni storiche e iconografiche di epoche differenti. Sui fogli si ripete il volto di un uomo in parte coperto da pesanti segni neri che lo sfigurano. L’uomo raffigurato è in abito d’epoca femminile. C’è violenza sia nella deturpazione del ritratto che nella scelta di un abito da donna per un volto maschile; violenza che abbrutisce l’individuo e gli fa perdere la sua identità.
La stessa cosa accade alle donne e ai bambini rappresentati su un’altra parete poco distante. Nessun adulto ha un volto pulito; l’unico viso sereno è quello di una bambina, forse ancora troppo giovane per aver vissuto la violenza. Alcuni ritratti sono del tutto neri e non più riconoscibili, ad altri vuoti, rimane solo la linea di contorno; alcuni sono ombre, altri teschi neri o cadaveri in decomposizione. Infine compare per ultima una piccola scultura di una testa bianca che emerge dalla parete – anch’essa bianca: un surreale gioco di assenza di colore in cui partecipa l’ombra che proietta il volto. Anche qui c’è violenza, dolore, soprattutto fisico: il suo naso è storto e l’espressione della fronte e gli occhi strizzati rendono partecipe l’osservatore della sua sofferenza. Sorprende l’efficacia con cui Roig, partendo dall’elemento del gioco, di solito aspetto piacevole della vita, abbia sviluppato, attraverso la teatralità delle immagini, una riflessione, incentrata sia sulle cause e gli effetti della violenza che sullo spazio da lui reso narrativo e teatrale.

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Autore

Veronica Cerbone

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