Andrè De La Roche: Casta Diva

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La vita di Maria Callas in un spettacolo che attraverso la fusione di musica, teatro e danza rende omaggio alla cantante lirica più famosa del mondo, dal 14 al 17 febbraio al Teatro Italia.

Casta Diva. Omaggio a Maria Callas

Regia: Alessandro Sena

Coreografie: Andre De La Roche

Costumi: Lucia Palmas / Davide Giovagnetti

Assistente alla regia: Simonetta Di Coste

Trucco: Elvira Meola

Destino: André De La Roche

Callas diva: Laura Valente

Callas donna: Silvia Morganti

Callas ragazza: Martina Ubaldi

Callas pianista: Graziella Spinali

Coscienza Callas: Sara Buratti, Cristiana Di Bonito, Katia Del Prete, Nicolas Esposto Antonio Balsamo

Nipote Meneghini: Alessandro Sena

Dal 14 al 17 febbraio 2013 – Teatro Italia

Lo spettacolo ripercorre fedelmente la vita della cantante lirica più conosciuta al mondo sin  da quando cominciò a studiare canto ad Atene, all’età di 15 anni.

Finita la guerra, la Callas tornò a New York, dove nacque nel 1923, per poi arrivare in Italia nel ‘47. Qui, nel giro di pochi anni, dopo le prime diffidenze da parte del pubblico e della critica, la futura “divina” arrivò all’apice della sua carriera: da quando fa il suo ingresso alla Scala di Milano nel 1951 si susseguono successi e riconoscimenti in tutti i teatri più importanti d’Italia e del mondo.

Parallelamente al racconto della sua carriera c’è anche un affettuoso e attento resoconto delle sue debolezze di ragazza prima e di donna poi; dei suoi amori sempre legati al mondo del lavoro e spesso usati e abusati dalla cronaca per sparlare di lei; del difficile rapporto con il suo corpo e del veloce dimagrimento su cui si fecero mille supposizioni – tra le altre, quella che avesse ingerito il verme solitario per arrivare a perdere 29 kg in due anni –. Alla fine degli anni ‘50 comincia il suo declino. Maria è logorata dal troppo lavoro e l’incontro con Aristotele Onassis la spinge definitivamente ad allontanarsi dalle scene. Si lascia risucchiare in una vita mondana che la solleva, almeno apparentemente, da un forte malessere psicologico. Si innamora perdutamente del miliardario e lascia il devoto marito e agente Meneghini diventando lo scandaloso argomento centrale delle cronache mondane dell’epoca. Negli ultimi anni della sua vita la sua voce non è più quella di un tempo, e probabilmente avrebbe definitivamente smesso di cantare se fortunati incontri, come quelli con Pasolini, Zeffirelli, Visconti e Di Stefano non l’avessero spronata a perseverare e a ritrovare una buona qualità vocale. Agli inizi degli anni ’70 si ritirò dalle scene e, fino al giorno della sua morte nel ‘77, si isolò da parenti e amici rinchiudendosi nel suo appartamento parigino.

E’ con una lettere scritta proprio in quegli ultimi anni da Parigi che l’autore e regista dello spettacolo, Alessandro Sena, chiude il suo ritratto di una donna così controversa; è nelle righe che scrive al devoto Meneghini che la diva fa affiorare tutta la sua disperazione e la sua solitudine, ed è in esse che traspare il suo amore/odio per la fama ormai perduta.

È evidente un attento e preciso studio della vita della Callas da parte dell’autore che pur attenendosi ai fatti delinea un suo profilo di questa donna così amata e discussa.

L’intero spettacolo e’ un monologo in prima persona, ma a più voci. A parlare è sempre Maria Callas, ma attraverso voci e corpi diversi. Il racconto è uno, ma corale; alla voce della Callas ragazza – Martina Ubaldi -, subentra quella della Callas diva – Laura Valente -, o della Callas donna – Silvia Morganti – Un’altra Callas, Graziella Spinali accompagna dal vivo la Valente nelle più belle arie che cantò la divina. Questa pluralità di voci è funzionale nell’evocare la complessa personalità della cantante. A commento dei momenti salienti nel racconto animano la scena i danzatori, Sara Buratti, Cristiana Di Bonito, Katia Del Prete, Nicolas Esposto e Antonio Balsamo che danno corpo alla sua coscienza. Andrè De La Roche – che cura anche le coreografie – è il suo destino, ovvero quello di essere stata prigioniera di se stessa, di una dote unica e così grande da trasformarsi in una gabbia, come quella in cui è chiuso l’usignolo all’apertura del sipario.

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