Transformers | MAXXI

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Artista: Choi Jeong-hwa, Martino Gamper, Pedro Reyes, Didier Fiuza Faustino
Titolo: Transformers
Luogo: MAXXI www.fondazionemaxxi.it
A cura di Hou Hanru

Fino al 28 marzo 2016I “Transformers” sono quattro artisti affascinati dal design e impegnati socialmente. Più nello specifico sono Choi Jeong-hwa di Seul, Martino Gamper, italiano che dopo aver studiato a Vienna e lavora a Londra, Pedro Reyes di Città del Messico e Didier Fiuza Faustino franco-portoghese.

Fin dall’ingresso del Maxxi si è trasportati in un’atmosfera surreale e coinvolgente: un grande loto dorato di dieci metri di diametro, rivestito da coperte isotermiche, ha i petali che sembrano mossi da una leggera brezza. C’è di sottofondo il rumore dello scrosciare dell’acqua come se il fiore galleggiasse vicino a un ruscello. Questa è un’istallazione di Choi Jeong-hwa, tra i primi esponenti della pop art coreana. Il carattere spirituale tipicamente asiatico è in simbiosi con l’alta tecnologia impiegata in quest’opera monumentale. Non si è ancora entrati nell’edificio e già l’artista sorprende con le sue architetture artistiche, rappresentazioni totemiche quali “Cosmos”, “Hubble bubble” e “Life life”. Istallazioni coloratissime e maestose, create con materiali tratti dal quotidiano come palloncini, scolapasta o perline e che, proposti in considerevole numero, diventano altro da sé. L’osservatore può percorrerle, entrando a farne parte. L’utilizzo di questi materiali dà spettacolo e genera in chi guarda uno stupore fanciullesco. L’aspetto ludico dell’artista nasconde una denuncia sociale, tematica che unisce i quattro artisti: negli anni ‘80 la Corea ha vissuto una forte industrializzazione con un consumo portato all’estremo in brevissimo tempo. La ripetizione dell’impiego inusuale di oggetti comuni mette in discussione gli stereotipi collettivi, definendo come “natura” ciò che si vive quotidianamente in un equilibrio precario tra essa e l’artificio. L’essenza della sua ricerca artistica è contenuta nella frase da lui stesso pronunciata: «your shopping is my art». “Cosmos” ad esempio ricorda un enorme gioiello che invade lo spazio. Il suo titolo è un paradosso, perché l’architettura decorativa evoca il mondo artificiale e non l’universo tradizionalmente inteso come sistema di vita complesso. Choi Jeong-hwa accompagna le installazioni con alcune sue poesie così da esprimere con più efficacia il proprio sentire.

Martino Gamper lavora secondo un sistema di riuso circolare: gli oggetti considerati ormai vecchi e per questo scartati sono da lui reinterpretati nella forma. L’artista si focalizza soprattutto sul carattere psicologico e sociale del design, legando gli oggetti agli individui. Si riflette su ciò che si ha e si cerca di superare i limiti con la creatività; le opere d’arte possono infatti conservare la loro funzione pratica, non necessariamente si devono isolare dietro una vetrina. Così Gamper ripropone un suo progetto del 2005 “100 chairs 100 days” nel quale raccolse sedie usate reinventandole. Al MAXXI espone alcune sedie e tre tavoli facendoli interagire con l’ambiente, tant’è che la presentazione della mostra si è svolta utilizzando proprio questo arredo e rendendolo così nuovamente funzionale, rinato in altra forma. Il lavoro di Gamper si concentra sul processo elaborativo, non tanto sul risultato, l’artista vuole focalizzarsi sulla progettazione della nuova forma dell’oggetto cercando di mantenere inalterata la sua funzione pratica.

Filo conduttore della mostra è il principio della rinascita, quando la fine di un’esistenza ne prepara una successiva: Pedro Reyes, messicano, fornendosi di armi dell’esercito messicano che sarebbero state interrate perché non più utilizzabili, ha attuato una loro “rielaborazione creativa”. Reyes ha voluto far scomporre le armi da fabbri ed esperti di acustica realizzando così degli strumenti musicali realmente utilizzabili. L’inusuale orchestra è testimone di come degli oggetti di morte possano rigenerarsi e diventare strumenti di vita, creando composizioni e trasmettendo emozioni positive.
La sua denuncia sociale la si evince già dal titolo “Disarm” e dai volantini che ricoprono la parete di fondo. L’invito non è solo al pacifismo ma anche all’azione: lottare per un mondo senza armi e contestare quei media che promuovono la violenza, riproponendola più volte normalizzandola e abituando la società a conviverci. Pedro Reyes punta a suscitare l’indignazione pubblica o il rifiuto culturale per chi trae profitto dal proliferare delle armi, e in Messico, paese in cui sono vendute molte armi statunitensi, tale tematica è preponderante. Con la trasformazione del metallo si vorrebbe modificare anche la mentalità: trasformare la materia per trasformare lo spirito, auspicando dunque trasformazione sociale.

Didier Fiuza Faustino, di nazionalità franco-portoghese, mette alla prova la percezione comune dello spazio e la convenzionalità dei nostri comportamenti, attraverso dispositivi che ci costringono a un confronto con i nostri limiti fisici e mentali, in una nuova realtà contraddistinta dalla tensione tra urgenze sociali e richieste di libertà. Lo spazio che indaga è sia urbano che mentale. L’artista propone 7 stampe su carta dal titolo “Explorers”, i soggetti delle foto sono due: gli uomini, sporchi e provati, ingabbiati in strutture metalliche e lo scheletro dell’architettura in marciume sullo sfondo. Nei primi anni ’60 il governo cubano iniziò la costruzione della scuola del Balletto de l’Avana per una propaganda politica e non portandola mai a conclusione. Ogni stampa di questa serie materializza un futuro incerto ed è una riflessione sulle prigioni politico-sociali. Si denuncia lo scempio urbanistico del paese legandolo alla condizione sociale del singolo. Nelle altre opere Faustino continua a rappresentare drammi umani: “Body in transit”, esposto alla Biennale del 2000, consiste in un container che vuole rievocare un evento realmente accaduto di un migrante che per espatriare si rinchiuse in un carrello di atterraggio di un aereo. L’artista sottolinea i drammi umani ma non proponendo nessuna soluzione. In “Lampedusa” infatti rappresenta una grande boa e la colloca davanti ad una parete raffigurante la “Zattera della Medusa” di Géricault. Forse la soluzione per salvare più naufraghi è costellare il Mediterraneo di tante boe o è solo un invito a tendere una mano a chi è in difficoltà? Anche qui si indaga il rapporto tra l’uomo e ciò che gli è intorno. C’è sempre un limite che vuole essere superato e, in questo lavoro, il tema usato da Gamper degli oggetti che riutilizzati passano da una forma all’altra viene esteso anche all’uomo, perennemente e in questo caso drammaticamente, coinvolto in processi di trasformazione. Lampedusa instaura un legame anche con il grande loto di Choi Jeong-hwa, che è stato rivestito con materiale isotermico, di solito offerto ai più bisognosi per riscaldarli. Si potrebbe così intendere il movimento dei petali, in simbiosi col suono di sottofondo, come il respiro di chi cerca riparo.

I quattro artisti mostrando una spiccata sensibilità verso la realtà odierna e trasmettendo un senso di moto, anche nelle istallazioni apparentemente statiche, di spinta ad oltrepassare i limiti della forma e della relazione tra soggetto e contesto, hanno in comune una spinta verso la denuncia sociale.

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Autore

Veronica Cerbone

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