TdV 7-W.I.P.: NdN, Las Vegas

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Articolo di: Lucrezia Ercolani

Foto di: Sara Caroselli

 

Las Vegas è il testo di Tobia Rossi vincitore del Bando Urgenze, quest’anno sotto la guida di Giuseppe Manfridi. Il 23 Aprile al Teatro Palladium, nell’ambito del festival Teatri di Vetro 7, ne è stata presentata la lettura scenica a cura della compagnia Biancofango.

 

testo di: Tobia Rossi

lettura scenica a cura di: Biancofango

con: Andrea Trapani e Paolo Leccisotto

regia di: Francesca Macrì

Hi-kari produzioni

@ Teatro Palladium, piazza Bartolomeo Romano 8

23 Aprile 2013

 

Ai margini di una città, tra gli edifici fatiscenti di quello che avrebbe dovuto essere un paese dei balocchi, due esistenze in disperata ricerca si incrociano, si scontrano ed infine trovano qualcosa di molto più essenziale dei bisogni che li avevano spinti in quel luogo desolato.

Sul palco c’è un ragazzo di sedici anni (Paolo Leccisotto) che mangia lentamente una merendina. In fondo, un violoncellista (Luca Tilli) scansiona con la sua musica l’intero spettacolo. Poco dopo, entra in scena un uomo (Andrea Trapani) che, nervoso, sbraita al cellulare. Qualcuno non gli sta rispondendo. Chiede al ragazzo se è passato di lì un uomo alto, biondino. Il ragazzo non l’ha visto. Qualche giorno dopo, la scena si ripete. Ma questa volta tra i due nasce un breve dialogo. L’uomo cerca di capire perché l’adolescente si trovi in quel non luogo, in quelle vie desolate dove sembra ritrovarsi il peggio dell’umanità. Lo incalza con domande, gli fa delle avances: l’uomo è gay, e quello dove si trovano è il luogo d’incontro con il suo compagno, che non si vede da giorni. L’adolescente, infastidito, non risponde e pretende di stare da solo. Eppure, nel corso del tempo, pian piano i due si aprono. Scopriamo che il ragazzo è scappato da una casa famiglia dopo esser stato portato via dalla madre, della quale era piuttosto lui il genitore. È in cerca del padre, del quale sa solo che vive in quella città. Cibo e videogiochi sono la sua vita. Capiamo che l’uomo, invece, dietro al linguaggio osceno e provocatore, è profondamente solo: fa l’insegnante di lettere, ma nessuno sa della sua omosessualità. Si sente rifiutato da tutto e tutti, si corazza ostentando ostilità e disprezzo. Anche se diversi nella loro alienazione, il ragazzo, instupidito e anestetizzato, e l’uomo, arcigno e cinico, sono entrambi l’esito dell’esistenza in una metropoli dove tutto è merce e il senso e la speranza sfuggono.

Una sera, per proteggersi dal freddo di dicembre, i due si coricano nel giaciglio improvvisato del ragazzo. L’adolescente consiglia all’uomo di riprovare a chiamare il suo compagno, questa volta senza strillare, senza accusare e senza insultare, per provare a dirgli piuttosto quello che prova realmente. Dall’altro capo del filo, le genuine parole d’affetto vengono molto apprezzate e i due fissano un appuntamento. A questo punto l’uomo, che poco prima aveva bollato la ricerca del padre come senza speranza, incoraggia il ragazzo a continuare a provare. Tra i due nasce un lungo abbraccio in cui si trova ciò di cui siamo sempre più defraudati: il reale contatto con l’altro. Forse uno squallido e dimenticato angolo di città può riempirsi di senso molto più delle insegne al neon del centro.

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Redazione

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