Taryn Simon @Gagosian Gallery Via Francesco Crispi 16, 00187 Roma www.gagosian.com 14 aprile – 24 giugno 2016
Dopo l’inaugurazione a New York e la partecipazione alla 56esima Biennale di Venezia nel 2015, Taryn Simon espone la sua prima personale in Italia con Paperwork and the Will of Capital. La sua ultima serie, che si compone di 36 fotografie in edizione e 12 sculture uniche, prende spunto da riflessioni innovative legate, da una parte, alle fotografie d’archivio scattate durante la stipulazione di trattati ufficiali – «Questi fiori accompagnavano uomini di potere mentre decidevano le sorti del mondo» – dall’altra, allo studio botanico svolto nel IX secolo da George Sinclair, sperimentando ricerche ed evoluzioni darwiniane in rivoluzionari campioni di erbe essiccate.
Narratrice di aspetti estetici dettagliati e di curate forme ibride, mescolate e lavorate dall’incontro fisico tra pittura e fotografia, l’artista americana mette a fuoco la realtà nel suo momento imprevedibile, scattato nell’attimo inatteso che sembra inglobarla e catturarla appieno.
Basando la sua attività su questa ricerca insaziabile e scrupolosa, Simon ha prodotto serie artistiche affascinanti come The Innocents (2002); An American Index Of The Hidden and Unfamiliar (2007); Contraband (2010); e A Living Man Declared Dead and Other Chapters I-XVIII (2008-11); come anche le più poetiche The Picture Collection (2013), Birds Of the West Indies (2013-14).
Nel suo lavoro più recente, esposto alla Gagosian Gallery di Roma fino al 24 giugno 2016, le immagini delle composizioni floreali sono ricostruite dalle foto d’archivio degli Stati presenti alla Conferenza Monetaria e Finanziaria delle Nazioni Unite (Bretton Woods, 1944). Fotografate e stagliate su smaglianti campi bicolore, le opere inseguono un contrasto ostentato in vivide sfumature pop che, con relative descrizioni allegate, esibiscono la messa in scena opulenta, consolidata, pubblicizzata e globalizzata di un tronfio potere politico-economico.
Dal commercio dei diamanti alle negoziazioni sul petrolio, dall’armamento nucleare alla Banca Mondiale, alla nascita del fondo Monetario Internazionale, i “bouquet impossibili” sono nature morte celebrate dalla Storia, decorazioni funeree che sbocciano dalle utopie e dalle fantasie settecentesche, siglate alle origini, alla semina del capitalismo moderno.
Al traguardo dei trattati si immolano i fantasmi dei fiori essiccati, pressati e cuciti in una corsa contro il tempo, acclamata dal completo set di collage botanici posti in ognuno dei torchi di cemento delle sculture, con lo stesso numero di fotografie e di testi narrativi, sigillati insieme in un accordo duraturo.
La documentazione d’archivio, come la fotografia stessa, sembra sopravvivere cristallizzata e opaca, resistente all’instabilità del potere, alla natura precaria della vita stessa, inquadrata come natura morta, nella sfera protetta della cornice in mogano di una sala riunioni.