Short Theatre 2015 | Motus, MDLSX

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foto di Ilenia Caleo

foto di Ilenia Caleo

 
 
con Silvia Calderoni
regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
drammaturgia Daniela Nicolò, Silvia Calderoni
suoni Enrico Casagrande
in collaborazione con Paolo Baldini, Damiano Bagli
luce e video Alessio Spirli
produzione Elisa Bartolucci, Valentina Zangari
promozione Italia Sandra Angelini
distribuzione estera Lisa Gilardino
produzione Motus 2015
in collaborazione con La Villette – Résidence d’artistes 2015 Parigi, Create to Connect (EU project) Bunker- Mladi Levi Festival Lubiana, Santarcangelo 2015 Festival Internazionale del Teatro in Piazza, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, MARCHE TEATRO
con il sostegno di MiBACT, Regione Emilia Romagna
 
Short Theatre
3 Settembre 2015, La Pelanda, Roma

Ultimo lavoro della storica compagnia dei Motus, presentato a Short Theatre 10, MDLSX è un “assolo performativo” ad alta temperatura emotiva e di accurata sperimentazione visuale.

Tra le luci multicolore di un prisma scenico, schermo e corpo, icona-video e sguardo, la performer Silvia Calderoni racconta di sé attraverso la propria immagine registrata, maschera non specchio, e lo fa attraverso il romanzo Middlesex (2012) dell’autore americano Jeffrey Eugenides. Qui, protagonista è Calliope (detta Callie), una donna, o forse un uomo (“You’ve got your mother in a whirl/ she’s not sure if you’re a boy or a girl”, cantava David Bowie in Rebel Rebel) o forse entrambi, “gioia nel disastro” come in ogni scissione. Una multi-identità, che è bellezza e dannazione, narrata attraverso i filmini di Silvia Calderoni da piccola, autoritratto dell’artista da giovane: sensibile, dal volto armonioso e magnetico, nel suo essere non canonico, irregolare. Ma “non a tutti è dato cantare”, e la bellezza diviene problematica se inserita in un contesto che tende a categorizzare ciò che tale è definito. E così la corona di oro e diamanti del raro diviene corona di spine, come emerge nella narrazione del viaggio intrapreso da Calliope sulla strada tra la gente; una valigia (posta al centro della scena) come metafora di salvezza, perdere l’ “io” nel mondo, per trovare il “sé”, una sera in una stanza d’albergo danzando come un cowboy su una moquette, (sequenza proiettata sullo schermo circolare appartenente dall’archivio privato della performer).

Lo spirito di conquista, del sé e della propria immagine, uno dei temi portanti di Middlesex corrisponde al mood performativo della Calderoni, che si alterna nel dare le spalle al pubblico strafottente del giudizio altrui, per mettere la sua musica e spararla ad alto volume, e nel volgersi e mischiarsi agli spettatori, Lucifero glam fatale e traslucido nella sua estrema magrezza. Corpo sottile, sul quale il viola, il rosso, il verde delle luci scrivono parole indecifrabili, ali luminose che fanno librare in alto un pensiero: quello della differenza, intesa come alterità e affermazione di una negazione di appartenenza. Non è chi pensate che vi parli a parlare, non è chi volete che vi parli; nulla da spiegare ma da attraversare, al ritmo delle percussioni, sulle note infurianti degli Animal Collective, per poi affogare nella malinconia degli Smiths e riemergere con la rabbia dei Cramps e dei Placebo dei tempi di Nancy Boy (“All breaks down at the role reversal/got the muse in my head she’s universal”). “Uccidiamo tutto!”, urla la performer, corrosa dalla violenza della costrizione/gabbia sociale che crea il mostro che non c’è, se non nel linguaggio inappropriato (patriarcale), il bruto o il brutto che rende marginale ciò che non comprende, commettendo di fatto un delitto estetico, commettendo una presuntuosa omologazione.

foto di Ilaria Scarpa

foto di Ilaria Scarpa

Nel corso del suo viaggio, Calliope/Silvia si muta poi in sirena, si immerge in un acquario con altre ninfe; è senza sbarre il contenitore, è liquido e osmotico, atto di voyeurismo e di erotismo, quello da Route 66 esplicato con una coda di tessuto argentato come una seconda pelle, nella quale la performer è avvolta mentre racconta la storia di un altro/a, che non esiste in quanto appartenente alla narrazione finzionale, eppure parla di sé, e con sé di una moltitudine di angeli terribili, (ogni angelo lo è secondo Rilke) esaminati dai dotti per cavarne una definizione, nell’arido agonismo delle definizioni che è la scienza, che non tiene conto del soggetto ma lo oggettivizza privandolo dei propri diritti.

Storia universale, MDLSX, narrata come un soliloquio di dolce disperazione, al suono di una musica empirea (la colonna sonora evidenzia le doti di Silvia Calderoni come dj selecter) e con luci dream-pop. Si conclude con il video dell’artista col padre, sigillo di uno spettacolo che è una poesia infantile, da osservare per reagire all’ottusa società che non contempla la differenza come qualità del sublime, ma la spinge in un baratro dal quale non tutti tornano indietro vivi. La gioia nel disastro, chiamata “ibridismo di gender”, che ha come epigone il vate Tiresia (più volte citato nello spettacolo), è resa dalla compagnia riminese Motus attraverso un linguaggio scenico attuale e coinvolgente, quasi cinematografico nel suo sovrapporre i piani di montaggio e nel gestire la temporalità della narrazione. MDLSX è un lavoro che annulla la distanza tra rappresentazione e vita privata del performer, portato avanti con enorme sensibilità, al fine di restituire uno sguardo intimo e mai autocommiserativo, che diviene riflessione universale di un dato soggettivo e critico quale l’identità sessuale, attraverso il racconto della differenza non come morbo ma come qualità aggiuntiva.

foto di Ilaria Scarpa

foto di Ilaria Scarpa

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Redazione

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