Riccardo Merlini | La generazione peggiore

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di Riccardo Merlini

regia Riccardo Merlini

con Carlo Colella, Domizia D’Amico, Carlotta Sfolgori

 

18 marzo, Teatro Abarico, Roma

Compagnia delle Origini è tornata al Teatro Abarico, dal 16 al 18 marzo, con il suo nuovo lavoro La generazione peggiore, scritto e diretto da Riccardo Merlini, con Carlotta Sfolgori, Domizia D’Amico e Carlo Colella.

Tre corpi in scena:  due personaggi femminili in cerca di un lavoro che possa identificarli nella società, due vite parallele che non si incontrano mai, e uno psicologo, quasi sempre di spalle, quasi spettatore come il pubblico, intento ad ascoltare e a far ascoltare le storie di queste due donne.

Un tema che espone il problema della nostra generazione, quella che va dalla metà degli anni ottanta e arriva all’odierno, immersa nei social, nel web, nelle regole comuni di una generazione precedente in un mondo che però sta prendendo tutt’altra direzione.  Cosa succede quando non sappiamo trovare il nostro posto in una società che si sta sgretolando? Quale direzione prendere quando ci si accorge che tutte le vie sono buie e false? Dove trovare la verità e la verità in se stessi? È la domanda che tutta la nostra generazione si pone, consciamente o inconsciamente, costretta a lottare per cambiare le cose o per infilarsi nei dogmi di un contesto ormai decadente. La verità è forse che siamo tutti soli?

Lo sono sicuramente queste due donne, l’una legata compulsivamente alla sua barbie, unica sua grande e vera amica, l’altra perseguitata dal ricordo del suo cane che la porta di conseguenza a considerare il benessere e la salvaguardia di tutta quella specie.  Il lavoro che riescono a trovare sembra corrispondere inizialmente con le loro necessità intime, un modo per poter operare al meglio con quello che sono e che hanno sempre avuto, ma le effimere regole collettive ancora ben radicate le trasformano in vittime di loro stesse.

Si può parlare più precisamente di una sorta di pazzia, di disfunzioni psicofisiche dovute proprio a questa confusione di posizione, di direzione e di gestione della propria vita, sociale ed intima. Una pazzia che si trasforma purtroppo in cellule cancerose che causano tumori al cervello, o ancora ad assumere atteggiamenti “bestiali”. Prova del nove di questa aberrazione è proprio la decisione inconscia di rendere se stessi o troppo perfettamente finti come una barbie o, all’opposto, troppo istintivi, animali, come un cane.

La generazione peggiore tenta di affrontare questo problema, o più specificamente, di esporlo, d’altronde le risposte sono sempre meno rispetto alle domande che ci poniamo al giorno d’oggi. Un tema che avrebbe bisogno di un’analisi dettagliata, o altresì di una sintesi che sappia attraverso i simboli dell’umano stimolare l’intimo delle percezioni. Purtroppo questo domandarsi quale strada percorrere è una risposta che dallo spettacolo non riesce a venir fuori, forse per la frenesia di portare sul palco un tema così delicato e sentito dalla maggior parte della nostra generazione appunto. Benché il soggetto possa risultare interessante, tuttavia la messa in scena pecca di abbozzature e imprecisioni. Non risulta chiaro dove vuole essere portato il pubblico, dove lo si vuole far entrare. Che lavoro devono affrontare gli attori per raggiungere lo scopo dei loro personaggi? Quale la loro guida per la ricerca interiore di una verità, o se si vuole, di un’estremizzazione surreale? Non basta il tentativo di mostrare una propria idea, quanto una ponderazione accurata di come realizzarla per non rischiare di cadere nelle aspettative scontate. Drammatico o comico? Grottesco o iper-reale? Sicuramente decisioni affrettate possono far perdere l’obiettivo che si ha di far diventare il pubblico parte della messinscena, tanto più in una scelta che pone la figura dello psicologo come intreccio tra la realtà e la finzione, tra la platea e il palcoscenico. La complessità di questo spettacolo non può inciampare in situazioni prevedibili; non c’è bisogno di renderlo una provocazione in quanto il tema stesso è la provocazione insita nel tempo che stiamo vivendo. Se tutto ciò deve risultare una tragedia, dov’è la catarsi? Chi siamo noi pubblico e cosa vogliamo farci lasciare da questo spettacolo? Possiamo essere sorpresi o totalmente immersi nella drammaticità della situazione;  i personaggi possono vivere attraverso l’interprete oppure essere completamente estraniati.  Anche questa è una domanda a cui bisogna rispondere: che difficoltà devono affrontare gli attori nella rappresentazione di una cosa così reale, pulsante di vita, che racconta il vero dei giorni nostri? Analisi o sintesi?

C’è da ammirare senza dubbio la scelta di un tema del genere, complesso, ma, come tutto quello che ci riguarda da vicino, c’è anche bisogno di un lavoro deciso per maturare ed evolvere un’idea. Tutto sommato La generazione peggiore sottende un’ottima intenzione, ma lo spettacolo necessita e pretende la giusta attenzione e il giusto tempo.

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