REf15| de Keersmaeker| Rosas | Ictus | Vortex Temporum

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Foto © Herman Sorgeloos

Foto © Herman Sorgeloos

 
 
 
 
 
Coreografia Anne Teresa De Keersmaeker
Danzatori Boštjan Antoncic, Carlos Garbin, Marie Goudot, Cynthia Loemij, Julien Monty, Michaël Pomero, Igor Shyshko
Musica Vortex temporum, Gérard Grisey (1996) 
Direzione musicale Georges-Elie Octors
Musicisti Ictus Pianoforte Jean-Luc Plouvier Flauto Chryssi Dimitriou Clarinetto Dirk Descheemaeker
Violino Igor Semenoff Viola Jeroen Robbrecht Violoncello Geert De Bièvre Disegno
Luci Anne Teresa De Keersmaeker, Luc Schaltin 
Costumi Anne-Catherine Kunz
Drammaturgia musicale Bojana Cvejic 
Assistente artistico Femke Gyselinck 
 
Romaeuropa Festival 2015
Venerdì 2 Ottobre, Teatro Argentina, Roma

Nel “vortice dei tempi” è situata la temporalizzazione di un ambiente scenico, privato di qualsiasi orpello, che si dona alla rappresentazione essenziale del puro concetto di corpo musicale didascalicamente indicato attraverso la compresenza di musicisti e danzatori. Questo il leit motiv di Vortex Temporum, ultima opera dell’autrice belga Anne Teresa de Keersmaeker, premiata con il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Danza in questo 2015.

Lo spazio è inizialmente abitato dall’ensemble musicale Ictus, i cui componenti eseguono una partitura di Grisey del 1996 nella quale ogni nota ha un suo peso, e di conseguenza occupa un preciso luogo. Con l’entrata in scena del gruppo Rosas, si assiste ad un duetto tra questi e i musicisti, a voler rimarcare l’indissolubile legame tra corpo e volume proprio sia alla disciplina coreutica che a quella musicale. Dopo la momentanea uscita in scena dei musicisti, i danzatori eseguono infatti un canone interrotto e ripetuto, compiono rivoluzioni in senso antiorario, si trans-mutano in strumenti; come corde di pianoforte un performer si eleva e si abbassa, i movimenti ora implodono e si concentrano su un unico punto nodale, estendendosi a tutto il perimetro scenico; le traiettorie si incrociano senza toccarsi, come il moto di astri di una galassia lontana, alternandosi il gruppo tra assoli e sequenze di movimento corali.

Vortex consta di quattro parti, una agita dai soli musicisti, l’altra costituente un duetto tra questi e il gruppo Rosas, la terza, composta da una partitura coreutica dove emerge il baluginio irrequieto e machiavellico dell’impalcatura spazio-temporale installata dalla coreografa; la quarta che vede una nuova sintesi tra i due insieme. Negli ultimi venti minuti, infatti, i sei musicisti di Ictus si collocano sul fondo della spoglia scena, disposti in orizzontale e frontalmente rispetto agli spettatori. I danzatori invece vorticano sulla scena, creando pian piano un semicerchio al centro del quale il tempo si dilata. Una bolla di vuoto si imprime con la presenza/assenza, carica del suo niente, del suo silenzio. Si dissolve nel buio la musica che elegge il minimo suono a sinfonia, attraverso la diffusione del peso della musica attraverso l’aere, e si immobilizzano i corpi che hanno compiuto una dissipazione energetica, portando a termine una coreografia ardua con impeccabile pulizia e precisione, indossando costumi eleganti, abiti classici che non impediscono la disinvoltura del movimento. La pièce termina nel buio assoluto, solo la mano dell’anziano direttore d’orchestra è illuminata e indica dei numeri, un’oscura sequenza di cui decodifichiamo “3-1-2”.

Foto © Anne Van Aerschot

Foto © Anne Van Aerschot

L’aura enigmatica preannunciata dalla danza di un pianoforte, oggetto che nella sua maestosità rimanda a un’epoca passata, fa da sfondo ai corpi che disegnano traiettorie anti-gravitazionali su vettori sonori e temporali, verso un allunaggio, di orbite e simmetrie, suono e visione. Percettivo è il legame che si instaura con lo spettatore che segue la dynamis spiazzante, senza poter riferirsi ad immaginario alcuno: gli si richiede un’azione intellettiva e/o un abbandono sensoriale. Seguire le vibrazioni cosmiche degli strumenti o il moto spiraliforme e poi longitudinale dei danzatori, o sintetizzare entrambe le istanze, per raggiungere un altrove, con l’assunzione che in tempi come questi, il nero è il colore da indossare, e la sostanza è l’estetica da seguire; quando qualcosa di solido resta dietro l’orpello, e una rappresentazione non ammicca bensì rende semplice e immediato uno stato di cose astratto.

La numerologia intesa come istanza creatrice, è utilizzata per individuare la sezione aurea degli esseri viventi, del corpo umano come delle piante, degli insetti, degli oggetti; astraendone la forma per dar luce ad un’opera che intenda l’arte coreutica come una ricerca del bello attraverso la proporzione, da terreste ad astrale. Esponente di punta del post teatro-danza anni Novanta, testardamente attaccata al concetto di partitura e alla simbiosi tra musica e danza, Anne Teresa de Keersmaeker articola un cifrario coreografico di eco quattrocentesca, dotato di una salda architettura concettuale; solido studio düreriano di cui attraversare le geometrie coreografiche e l’entropico vortice sonoro.

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Redazione

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