Mattia Torre: Qui e ora

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In scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma il nuovo brillante testo di Mattia Torre. Valerio Mastandrea e Valerio Aprea si fronteggiano in un esilarante duello metropolitano, specchio dell’Italia di oggi.

Qui e ora

di: Mattia Torre

con: Valerio Mastandrea, Valerio Aprea

scene: Beatrice Scarpato

costumi: Alessandro Lai

luci: Luca Barbato

regia: Mattia Torre

Dal 14 febbraio al 3 marzo 2013 – Teatro Ambra Jovinelli, Roma

Crash. Si comincia con un impatto. Driiin. Quando le luci si accendono e il fumo si dirada, la scena ci mostra due uomini a terra. Due scooter si sono scontrati – casualmente? – nel nulla della periferia romana, un deserto urbano qualsiasi. Driiin. Il terzo protagonista è il cellulare.

La livida desolazione del luogo dove si aggrovigliano le carcasse dei due scooter ci dà subito una forte sensazione di solitudine ed emarginazione, non solo fisica ma anche, e soprattutto, morale. Qui e ora racconta, con la riuscita metafora dei due sopravvissuti in attesa di soccorsi, la deriva dell’Italia di oggi.

All’inizio solo uno dei due riesce ad alzarsi e a chiamare il 118. «È la festa della Repubblica. Tanti auguri, grazie… Che vogliamo fare qua?» Bella domanda. Gli aiuti, ovviamente, non arriveranno. Qui e ora è anche il titolo della trasmissione radiofonica gastronomica che Aurelio, chef motivazionale straordinariamente interpretato da Valerio Mastandrea, manderà  in onda nonostante sembri che l’altro uomo stia per morire, nonostante tutto. Claudio, Valerio Aprea,  separato dalla moglie, assediato da una madre telefonicamente insistente, è un uomo qualunque che non riceverà risposta alla domanda «Ti interessa se io muoio?»

In questa storia, nonostante le apparenze, non ci sono carnefici né vincenti, solo due vittime diverse tra loro per carattere ed estrazione sociale. La sfida verbale fra i due relitti urbani balza da una parte all’altra del palco, un confronto continuamente incidentato, ostacolato da conversazioni con i vecchi volontari del 118, telefonate onnipresenti, dirette radiofoniche, riflessioni sul paradosso della psicoanalisi come inutile rimedio e, addirittura, editoriali accaniti contro la rucola. Un bombardamento di sketch esilaranti fino all’atto conclusivo, risolutivo e, inevitabilmente, amaro. Perché in scena c’è chi sta facendo i conti con la crisi, nel senso generale del termine, con il Far West sociale, politico e culturale che ci ha privato di ogni certezza.

L’Italia è questo paese (…) pieno di tradizione, di cultura… dove a noi però, ecco, in sostanza, soprattutto… piace mangiare. È interessante richiamare l’incipit di un altro testo di Mattia Torre, il monologo breve Gola, per riconoscere una sua ossessione. Raccontare il nostro paese puntando la luce su quell’indifferenza, cinica e distratta, che ormai condisce tutto il vuoto che ci circonda. Detta così, un banalissimo luogo comune. Ecco, Torre ha il grande pregio di saper partire proprio dai luoghi comuni per utilizzarli, poi, in modo sovversivo.

La ferocia della storia è controbilanciata dalla lucida leggerezza con cui viene raccontata. Quasi un soffio, ma con robuste radici in un lucido disincanto. I ritmi serrati del dialogo, graffiante e divertente, ci regalano una scrittura dal sapore internazionale. Non ci sono soste, pause, in Qui e ora, ma un’energia, una vitalità, una resistenza rivoluzionaria, che raramente si incontrano nel teatro italiano.

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