Matteo Latino | INFACTORY | Un ricordo

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INFACTORY

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Regia e drammaturgia: Matteo Latino
Con: Matteo Latino e Fortunato Leccese
Produzione: Compagnia Teatrostalla/Matteo Latino
Vincitore Premio Scenario 2011
11 dicembre 2012, PIM Off, Milano

A trenta giorni dalla prematura scomparsa del drammaturgo e attore Matteo Latino, ripubblichiamo la recensione del suo primo spettacolo, vincitore del Premio Scenario 2011.

Due vitelli a stabulazione fissa aspettano la macellazione ormai prossima. Metafora dei neotrentenni pronti a partire per il viaggio di morte nell’attuale società. Il viaggio però è molto lungo e a volte non porta da nessuna parte. Gli attori/vitelli sono in gabbia, dentro recinti di stereotipi auto generati dai loro sensi di colpa che non gli fanno credere ai sogni, alle idee, agli amori, alla libertà. Infanzia da Commodore 64, e-man e ciabatte Champ. Adolescenza di studi e ansie da prestazioni. Sabati da collassi al porto e ubriacature piccolo borghesi, di vestiti alla moda e motorini. Una crescita rotta, macellata che ha gettato nella disperazione e nella stanchezza Matteo Latino e Fortunato Leccese. I due attori in ginocchio su un ipotetico confessionale scabroso di impotenze in potenza, disegnano graffiti di piccoli uomini uguali a se stessi indossando felpe con su scritto sii forte (sul petto) sii sbagliato (alle spalle).

Come molte donne e uomini d’oggi, si pongono problematiche adolescenziali con quindici anni di ritardo. Vivono esistenze d’attesa, come i vitelli che attendono di essere macellati, schiavi, soli, anaffettivi, clandestini d’umanità mentre una voce registrata ad intervalli non regolari, tiene una lezione di sezionamento del pollo. Sono poste oggi perché evidentemente c’è stato un blocco da qualche parte che ha impedito alle coscienze di crescere (e se si scrive televisione commerciale non crediamo di sbagliare poi tanto). Un problema che la drammaturgia, scarna, fredda, gettata in pasto a ritmi sintetizzati anni ‘80, solleva in maniera lucida, perentoria sovrastando l’idea scenografica: magliette dentro scatole dei magazzini Metro, fonti luminose al neon squadrate e di un bianco torbido, un telo di cellophane 4×4 da pittore. La preminenza del corpo nelle molte sequenze coreografiche è scelta come mezzo esclusivo per la comprensione dell’altro ma, per quanto infinite possano essere le relazioni tra esseri umani, puoi fartene solo un’idea dell’altro.

Le domande che si pongono al pubblico, medium della meta indagine, sono dirette: conosciamo i nostri polli? I nostri pungiball su cui misurare l’altezza (o la bassezza) della nostra maturazione etico-politica?

Viene spaccato provocatoriamente un gesso della Madonna e si balla techno di quart’ordine. Tutto purché ci sia una scintilla vitale, di ribellione o rivolta perché Grande Paura è il mostro da cui tenersi alla larga. Dobbiamo alzare la voce finché siamo in vita. L’essere umano è un essere fragile.

Quando muore lo fa in silenzio. Diversamente dagli animali al macello.

R.I.P.

«La stalla è un luogo vissuto, la nostra origine. La stalla è dove sono nati i nostri nonni e hanno vissuto i nostri genitori. Dove è nata l’economia che oggi viviamo. È un luogo che restituisce dei suoni, degli odori e delle tradizioni. È un luogo umile, come il lavoro che vi è svolto ma oggi distante da tutti noi. Per formare generazioni sempre più forti bisogna partire dall’origine. Tornare nelle stalle. Il teatro è un luogo vissuto. Il teatro è la nostra origine. Il teatro è dove sono andati i nostri nonni e hanno visto i nostri genitori. Dove è nata l’economia che oggi viviamo. Restituisce suoni, odori, tradizioni. È un luogo umile, come il lavoro che vi è svolto. È un luogo oggi distante da tutti noi. Per formare generazioni sempre più forti bisogna partire dall’origine. Tornare nelle stalle»

Matteo Latino

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Autore

Enea Tomei

Enea Tomei, poeta. Mai laureato in filosofia del diritto, scrittore, attore, fotografo, critico con se stesso e delle arti che gli piacciono. Cura la sezione musicale del Festival della scena contemporanea Teatri di Vetro, è caporedattore foto della webzine Nucleo, scrive canzoni, suona e straparla nella band folk ‘n rock PHAKE. Autodidatta in tutto, anzi DIY (anche se il diplomino dell'accademia teatrale ce l'ha), non crede nella reincarnazione ma pratica il miracolo e la telepatia. Consiglia la psicoterapia. Ha mandato tutti e tutto a quel paese per ritrovarsi al punto da cui voleva partire più di vent'anni anni fa. Contento, sì ma più vecchio...

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