Maestri: SIDNEY LUMET – QUINTO POTERE

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Titolo originale: NETWORK

Anno: 1976

Produzione: Howard Gottfried (MGM – USA)

Regia: Sidney Lumet

Soggetto e Sceneggiatura: Paddy Chayefsky

Fotografia: Owen Roizman

Scenografia: Philip Rosenberg

Montaggio: Alan Heim

Musiche: Elliot Lawrence

Cast: Peter Finch, Faye Dunaway, William Holden, Robert Duvall, Ned Beatty, Beatrice Straight

Durata: 116 min.

Tutto ciò che ruota dentro e attorno alla televisione ha come unico obiettivo quello di mantenere alto l’indice di ascolto, anche a costo di morire per tale causa, perché non ci si può tirare indietro, la falsificazione del reale è in evidenza; data in pasto al pubblico per uno spettacolo che, comunque vadano le cose, è pur sempre spettacolo, e per di più fa anche ridere. A ridere di meno è il presentatore Howard Beale, appena licenziato perché dopo undici anni non riesce più ad innalzare l’indice di gradimento. La rete televisiva è ad un passo dal passaggio di consegne che quando avviene, mette in prima fila una rampante donna di nome Diana Christensen, che pensa bene di sfruttare l’enorme potenziale profetico dell’anziano Howard Beale, che prima di abbandonare il proprio impiego, annuncia in diretta il suo suicidio. Scoppia uno scandalo che viene tramutato in un’occasione coi fiocchi dalla nuova responsabile dei programmi della UBS di Los Angeles. Costretto a smentire, Beale, allora decide di annunciare in diretta nazionale il proprio licenziamento. Nonostante ciò, Howard Beale diviene il “pazzo profeta dell’etere”, il mad man incazzato e in guerra col sistema, il folle che agli occhi della gente è la sorpresa straordinaria all’interno di una realtà ordinaria, quella di sempre, quella della tv.

Peter Finch (vincitore per questo ruolo di un Oscar postumo, perché morto durante il tour promozionale del film), è il nostro straordinario Howard Beale, mentre Faye Dunaway (vincitrice anch’essa dell’Oscar) è l’affascinante e cinica Diana Christensen. Gli altri due premi se li portano a casa lo sceneggiatore Paddy Chayefsky (assolutamente necessario a rigor di logica), e l’attrice non protagonista Beatrice Straight.

La follia fa faville e spettacolo, all’interno dei perversi meccanismi di ascolto del network televisivo. La gente, il pubblico, generano mitologie apparenti e passeggere con la stessa facilità di un rutilante cambio canale, e allo stesso modo le distruggono con lo schiacciamento del tasto di spegnimento della tv. Nel network, il confine tra  il falso e il vero è indefinibile, il cinismo e l’arrivismo regnano ai massimi livelli, mentre la sensibilità morale è totalmente assente dai “giochi di prestigio” interni al sistema.

Nella sua feroce critica mediatica, Sidney Lumet e Paddy Chayefsky, premono sui tasti del cinismo morale e del grottesco, per puntare il dito contro la gente stessa che dalla televisione si lascia dominare, e per cui è ormai disposta a credere a tutto quello che si spaccia per verità, per poi scandalizzarsi di fronte alla stessa, quando irrompe coscientemente con il volto di Howard Beale. Quella che, infine, viene messa in scena è la raffigurazione della morte in diretta (citando il film di Tavernier di pochi anni successivo a quello di Lumet), dell’unica morte che fa ridere e divertire, anche quando sembra essere davvero reale.

La spettacolarizzazione della morte può, pertanto, avvenire soltanto in diretta, perché in differita non avrebbe lo stesso senso, né lo stesso illogico sapore.

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