L. Guerra Seràgnoli, Last Summer | Festival di Roma

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Last Summer di Leonardo Guerra Seràgnoli, Italia 2014, 94’

Produzione: Jean Vigo, Cinemaundici e RAI Cinema;

Ci sono film perfetti. Last summer dell’italiano Leonardo Guerra Seràgnoli per Prospettiva Italia, è uno di questi. Chiariamo subito un paio di questioni: non è detto che se si ha molto denaro a disposizione (come nel caso della famiglia plurimilionaria Seràgnoli) si riesca poi a farne buon uso e in Italia non debutti alla regia, se non sei molto ricco di tuo o di famiglia, con Rinko Kikuchi (Babel, 47 Ronin e Pacific Rim) come protagonista, un cast artistico internazionale, i costumi (eccezionali) di Milena Canonero, il montaggio realizzato dalla collaboratrice di Michael Haneke, la collaborazione allo script della scrittrice Banana Yoshimoto e infine la barca a vela (unica unità spaziale) progettata dall’archistar Odile Decq (l’architetto che ha realizzato il MACRO per intenderci). Detto ciò il film ha lo stesso effetto di un attacco d’asma: toglie il fiato.

La storia è quella di una madre giapponese che per quattro giorni ha il permesso di vedere per l’ultima volta suo figlio, nato da padre occidentale, finché questi non compirà 18 anni e potrà decidere autonomamente della propria vita – «ci vorrà molto tempo ma un giorno sarai libero di decidere senza che nessuno ti dica cosa fare». Non sappiamo il motivo di questo accordo di separazione anche se lei dice al bambino di essere stata rabbiosa e assente.

L’unico a mostrare empatia per il dramma interiore della madre è il capitano. Il resto dell’equipaggio è ostile e a volte complice con i proprietari dello yacht, la famiglia del padre ed ex-marito di Naomi.

Calma piatta e claustrofobia spaziale che le coste pugliesi (il film è stato girato al largo di Otranto) esaltano perché irraggiungibili e splendide. Anche le cose semplici come fare colazione, cenare, nuotare diventano ostacoli pieni di ansia e pathos per una possibile reazione incontrollata della madre, a causa di probabili carenze psicologiche. Una stasi spezzata solamente dal beccheggio dell’imbarcazione. Una prigione dorata che le musiche di Fever Ray, Alexis Grapsas e Ryuchi Sakamoto con la loro meravigliosa reiterazione rendono ancora più insopportabile (superba l’atmosfera creata dal permanente ronzio di sottofondo della nave che nella scena finale diventa a tutti gli effetti colonna sonora dell’addio). Il bambino per lunga parte freddo e diffidente nei confronti della madre, lentamente perde il controllo della propria emotività e si lascia andare ad un rapporto di semplice gioco amoroso. Attraverso la pazienza e il dialogo in giapponese, la madre conquista la diffidenza del figlio. Sta tutto qui ma qui c’è tutto. Una madre, un figlio e un arrivederci lungo undici anni. Un film introspettivo che restituisce ogni singolo frammento della varietà del dolore nei rapporti umani (di cui Banana è interprete magica e raffinata) e che l’inatteso grigio del cielo pugliese, coperto e raramente abbacinante, rende ancora più cupo.

Con il film volevo indagare la possibilità dell’inizio di un rapporto nella sua fine racconta il regista. Ebbene si può parafrasare dicendo che con il finale, in cui ogni elemento filmico, dalla recitazione alla fotografia, è rigoroso, elegante, tenuto, le possibilità che quest’opera prima sia solo l’inizio ci sono tutte.

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Autore

Enea Tomei

Enea Tomei, poeta. Mai laureato in filosofia del diritto, scrittore, attore, fotografo, critico con se stesso e delle arti che gli piacciono. Cura la sezione musicale del Festival della scena contemporanea Teatri di Vetro, è caporedattore foto della webzine Nucleo, scrive canzoni, suona e straparla nella band folk ‘n rock PHAKE. Autodidatta in tutto, anzi DIY (anche se il diplomino dell'accademia teatrale ce l'ha), non crede nella reincarnazione ma pratica il miracolo e la telepatia. Consiglia la psicoterapia. Ha mandato tutti e tutto a quel paese per ritrovarsi al punto da cui voleva partire più di vent'anni anni fa. Contento, sì ma più vecchio...

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