Intervista a Giorgio Michetti

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Giorgio Michetti è nato a Viareggio nel Dicembre 1912, e nella sua giovinezza ha avuto modo di conoscere diversi viareggini che sarebbero diventati artisti di grande fama, come Mario Monicelli, Mario Tobino e Luciano Zacconi. Ha iniziato, sin da giovane, a lavorare nel mondo dell’arte, esponendo per la prima volta a 17 anni. La guerra in Etiopia e la Seconda Guerra Mondiale lo hanno tenuto impegnato in altre attività, ma, una volta presa la decisione definitiva di lavorare nella pittura, si è trasferito con la famiglia a Milano e, pochi anni dopo, ha avuto modo di esporre una mostra personale di grande successo a Lugano, in Svizzera.

Artista dotato di profondissima sensibilità e intelligenza, arrivato a quasi 101 anni, mantiene ancora una fresca lucidità, che gli permette una visione molto forte e chiara sul presente e che riesce tuttora a trasmettere attraverso le sue opere.

Lorenzo Simonini: E’ un grande onore per me e per la rivista Pensieri di Cartapesta poter intervistare un artista del suo calibro. Come prima domanda le vorrei chiedere: che cosa l’ha spinta a dedicarsi al mondo dell’arte?

Giorgio Michetti: Già dall’età di 6 anni avevo una grande passione per il disegno e mi divertivo a copiare e a ingrandire i personaggi del Corrierino dei Piccoli, cercando di riprodurli su dei cartoni grandi. Quando non li avevo, disegnavo sui muri, per la disperazione di mio padre. Una mattina di Befana mi regalò un cavalletto con matite e colori e per me fu un’esplosione di gioia. Da quel momento cominciai a dipingere. Il primo quadretto che feci, tra l’altro di memoria, fu un rientro di sera dalla pesca dei Trabaccoli nel canale Burlamacca. Decisi di realizzare questo dipinto per omaggiare questo meraviglioso aspetto della marina di Viareggio. Poi andai avanti e un giorno ebbi la fortuna di trovare un cugino, molto più grande di me, il quale tutte le volte che si recava in campagna per dipingere mi chiamava e mi portava con sé. Mi ha insegnato come si guarda la natura, ma soprattutto come la si inventa, perché l’arte non si limita a riprodurre la realtà, ma la reinventa. Io inizialmente studiavo al ginnasio, ma non ero un buon studente, e al quarto anno stavo rischiando la bocciatura. Mio padre se ne accorse e mi fece una proposta: mi avrebbe tolto dalla scuola e concesso tre mesi di tempo per preparare l’ammissione al liceo artistico. Se ci riuscivo, avrei proseguito gli studi artistici, altrimenti avrei dovuto proseguire il liceo classico e andare a studiare farmacia all’università, dato che mio padre era farmacista. Ebbi tanta di quella paura che mi ci buttai a capofitto, ma alla fine ce la feci. Proseguii, dunque, il liceo artistico e, successivamente, mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti, ma nel frattempo mio padre morì e fui costretto a interrompere gli studi. Quando ebbi modo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, di proseguire la strada dell’arte, ho imparato a lavorare con tantissime tecniche: l’acquerello, la tempera, l’olio, la grafica, l’affresco. Su quest’ultimo ho inventato un metodo che mi ha permesso di lavorare sul legno e ciò ha fatto sì che potessi realizzare degli affreschi come fossero quadri, i quali sono stati per me fonte di successo, dato che tante mostre le ho allestite proprio con questa tecnica artistica.

L.S.: Quali sono stati i suoi modelli di riferimento nella storia dell’arte?

G.M.: Da studente a Roma mi ero innamorato di Michelangelo, specialmente nel suo modo di concepire l’umanità e di comporre gli spazi. Molti critici, non a caso, dicono che nelle mie opere ci trovano sempre un qualcosa di michelangiolesco, specie nell’anatomia delle figure. Oltre a questo, c’è da aggiungere che io sono nato e cresciuto in un’epoca in cui è esplosa la rivoluzione contro l’accademismo e le vecchie filosofie del Settecento e dell’Ottocento. E’ stata quasi una festa, perché è nato di tutto e nell’arte si poteva fare quello che si aveva voglia di fare senza seguire alcun dettame. In questo modo sono fiorite tantissime correnti artistiche, centinaia di ismi, ed è stato un piacere, in quanto c’era una vera libertà di esprimersi. In modo particolare mi colpì il Futurismo, soprattutto le idee legate al movimento. Dopo Michelangelo, dunque, un’altra cosa che mi ha affascinato ed è stata per me un riferimento è il Futurismo.

L.S.: Dall’alto della sua esperienza, tuttora acuta osservatrice della contemporaneità, quali consigli si sente di dare ai giovani in generale, ma soprattutto affinché essi possano intraprendere una carriera nel mondo dell’arte e della cultura?

G.M.: Io ho avuto modo di andare in tantissimi Paesi e di conoscere tantissime persone. Io consiglio ai giovani, se possibile, di andare via dall’Italia, ma non perché è un brutto posto, bensì al fine di rendersi conto e di comprendere che cosa si realizza all’estero. Tempo fa, grazie al prof. Stefano Carlo Vecoli, ho avuto modo di avvicinarmi in maniera diretta ai giovani e ho compreso che vorrebbero sapere e imparare tante cose, ma dalla scuola non riescono a ottenere molto. Ecco perché consiglio ai giovani di spostarsi, proprio per poter conoscere ciò che avviene in altri contesti diversi dal nostro, in maniera tale da essere coscienti di saper reinventare la realtà e, dunque, di fare arte.

L.S.: Mi affascina poter chiudere questa intervista, purtroppo composta di sole quattro domande mentre ce ne sarebbero da fare ancora tantissime, con questa curiosità: quali sono i suoi progetti per il futuro?

G.M.: Un giorno mi venne a trovare un mio amico e, dopo avermi salutato, mi chiese cosa stessi facendo. Gli risposi, scherzando, che stavo progettando il mio avvenire. In verità, mi sono accorto che, a quasi 101 anni, non si può progettare niente. Si aspetta, anche se io lo faccio lavorando ancora e non, come hanno fatto in tanti, seduti in poltrona, perché non voglio assolutamente perdermi il mio mondo. Anzi, è un’ottima distrazione. E poi è come se fosse una sfida con te stesso, per vedere se sei capace ancora di lavorare. Il mio futuro, nonostante le ovvie difficoltà, è quello di non fermarmi.

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Redazione

1 commento

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    Un grande personaggio e un grande artista. Sono proprio contento di averlo come amico nella vita e come maestro in pittura. Molte sono state le occasione in cui abbiamo lavorato con i miei studenti e sempre ha lasciato in loro un bellissimo ricordo.

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