IL SILENZIO DELL’ARTISTICO FATALE

0

Con l’utilizzo del sintagma Montaggio delle Attrazioni, teorizzato da Ejzenstejn nel 1923, Sargentini evidenzia, con successo, le relazioni silenziose esistenti tra le varie opere presenti nella mostra.

Le due opere di Di Stasio si fronteggiano: un uomo nudo, prima “normale” e poi gigante, sembra essere colto in un momento di estasi religiosa. Con le braccia dinoccolate su di un bastone egli aspetta, illuminato dalla luce divina, l’avvento della richiesta celeste. Potrebbe essere il semplice schiarire del cielo dopo un temporale; tuttavia, quella luce che scende dall’alto ci fa sentire convinti della nostra interpretazione trascendente, coadiuvata dalla nudità del personaggio e in contrasto con la elettrica immanenza seriale del giallo opaco diffuso dai verticali pali della luce presenti nel più grande dei due oli su tela.

Ci voltiamo e troviamo la figura di Stalin. Non può che tornarci in mente proprio Ejzenstejn e la censura in cui incappò durante la dittatura staliniana. Del Giudice rappresenta Stalin nelle due condizioni liminari dell’ente uomo. Prima vivo e poi morto, prima spavaldo e poi laconico, il dittatore russo mostra il suo viso nella commistione dei colori, ovvero nella prima insorgenza della stessa vitalità. Rosa, Azzurro, Verde e Marrone ci accompagnano, a braccetto, nel calore Arancione della terza sala.

Il tepore di due candele ci invita a osservare l’opera di Kounellis e quella di Nam June Paik. Nella prima opera una lamiera sostiene due mensole: sulla più alta si trova una candela, mentre su quella più bassa, un trenino con locomotiva è diretto verso sinistra e suole indicarci garbatamente di porre lo sguardo sull’opera dell’artista coreano in cui un vecchio televisore, svuotato di qualsiasi componente interno, contiene un’altra candela. Staticità o dinamicità nascosta? L’inesistenza dei binari soggiacenti al treno da una parte e la privazione delle immagini rilasciate dal tubo catodico dall’altra conducono alla prima ipotesi soltanto nel momento in cui non si noti come le candele siano, in entrambe le opere, quel dispositivo vivificante che rileva e rivela un impianto comatoso e, al tempo stesso, funerario.

Forse ci troviamo in un cimitero artistico in cui la paradossalità del non-vivente morente, zombie o forse già morto, cerca di agganciarsi all’ultimo residuo di fittizia e sogghignante speranza. La candela è, infatti, albergatrice che, come noi uomini, inspira ossigeno ed espira anidride carbonica. La dinamicità, dunque, si svela nell’atto del moribondo.

La fotografia di Ontani in cui è ritratto Krishna e Il cobra di legno di Puxeddu sembrano corrispondere, a primo impatto, alla logica Dio incantatore-animale incantato; in realtà non è affatto così. Siamo catapultati nei preamboli di una sfida che, piuttosto di risolversi in uno scontro mortale, potrebbe decidersi con la presa di coscienza della potenza dell’Altro, virtù insieme bestiale e divina: siamo situati così nel Rispetto della differente vitalità. Sarebbe un errore cercare di metamorfizzarsi in uno dei due antagonisti; ciò, infatti, si dichiarerebbe soltanto come un atto di violenza nei confronti delle due opere. Il nostro sguardo umano deve mostrarsi, piuttosto, come quello di uno spettatore non distaccato che, coinvolto nello svolgimento dei fatti, rimane se stesso.

Infine, i vestiti dipinti da Pizzi Cannella, installazione in cui si compie perfettamente il gioco dell’essere guardante e dell’essere guardato. Mentre ci accorgiamo di essere sul palcoscenico abbiamo già di fronte il pubblico, ente monocromatico e fantasmatico, vestito di bianco e di nero. Noi siamo gli attori. Non è vero, noi siamo gli spettatori e sulla scena ci sono quegli stessi vestiti che ora, divenuti protagonisti, daranno vita a non si sa quale opera artistica. Nemmeno questo è vero. Ci rimane, dunque, una sola certezza: nel bipolo attore/spettatore, il vuoto dei posti a sedere distanzia, in maniera menefreghista, le (in)-visibili, singole figure. Il risultato è una solitudine che ci attanaglia proprio nella pluralità degli sguardi delle presenze senza volto.

Trascendenza/immanenza, vita/morte, staticità/dinamicità, umano/animale/divino/non-umano, vedente/visto. L’inter-scambio degli sguardi plurimi, collage artistico-esistenziale, configura, nello spazio delle cinque sale de L’Attico, lo scandire di un istante temporale in cui si descrive minuziosamente l’unico protagonista della costitutiva contraddizione interna alla fabbrica degli affetti: il soggetto scisso, emotivamente raddoppiato e sdoppiato, nell’attrazione dell’artistico e nella fatalità del montaggio.

MONTAGGIO DELLE ATTRAZIONI

Associazione culturale L’Attico, 13 gennaio – 15 marzo 2012,

a cura di Fabio Sargentini,

opere di Stefano Di Stasio, Paolo Del Giudice, Jannis Kounellis, Nam June Paik, Luigi Ontani, Luigi Puxeddu, Pizzi Cannella,

foto Nam June Paik, 1975, Candle TV, televisore e candela.

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Lorenzo Cascelli

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Estetica nel 2012 con una tesi su "The Tree of Life" di T. Malick e "Melancholia" di L. von Trier presso il dipartimento di Filosofia dell'università "La Sapienza" di Roma. Caporedattore prima di Arte e Libri e poi di Cinema presso Pensieri di Cartapesta, da Aprile 2014 sono direttore editoriale di Nucleo Artzine.

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi