Fuorigioco

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Il giorno 9 dicembre al  Cinema Palazzo è stato proiettato il primo film di Carlo Benso, una produzione low-cost ed indipendente cui hanno collaborato come troupe alcuni neo-diplomati provenienti dalle scuole italiane di cinema .

Fuorigioco, di C. Benso, Ita 2013, 87′

Sceneggiatura: Carlo Benso e Nik Redian

Fotografia: Stefano Palombi

Montaggio: Cristiana Cerrini

Prodotto da: Roberto Gambacorta e Carlo Benso per RioFilm

Interpreti: Toni Garrani, Nicola Pistoia, Crescenza Guarnieri

Il suicidio è una malattia del lavoro.

Aprire le danze con una frase di Antonio Negri, rilasciata in un’intervista su Empire, significa indirizzare la critica di questo film sul lavoro, verso un piano dettagliato della nostra società contemporanea e del passaggio dal capitale alla finanza: il così denominato meta-capitalismo. Come minimo comune denominatore della condizione attuale dell’uomo, prenderemo il concetto chiave di M. Lazzarato«Ogni uomo nasce con un peccato originale che chiamiamo Debito, il quale è dovuto a un creditore Universale (il Capitale)», tuttavia astratto e intangibile. La condizione di indebitamento cui tutti i cittadini (italiani e non solo) sono soggetti, ci interessa specialmente per le relazioni umane che instaura, per il controllo che può avere sulla produzione di soggettività  e «per quel ponte gettato tra il presente e il futuro»: una beffarda promessa di schiavitù estesa attraversa il tempo.

Negri asserisce che sia l’impoverimento della classe media, sia la precarietà del lavoratore, così come il vuoto del tempo e dello spazio che lascia la disoccupazione – ottimamente interpretata dall’attore Toni Garrani –, sono definiti come debito. Paradossalmente, il proletario “libero come un uccello” secondo Marx, è invece caduto nella trappola del capitalismo maturo. La relazione dialettica tra servo e padrone, non ha più valore dialettico, poiché il debito non è l’antitesi del credito. Non è contemplabile una forma di ribellione verso un entità empirica, perché il debito fa parte dell’astrazione della finanza. 

In Fuorigioco si può osservare come il capitalismo maturo sia riuscito ad estendere lo sfruttamento – che prima avveniva solo nelle fabbriche –  ad ogni piano e livello della vita. Di conseguenza,  l’ uomo non si riconosce più nell’essere, ma nella rappresentazione di esso attraverso la società, ovvero il suo ruolo nel lavoro. Ci troviamo nella parabola opposta, ma complementare del discorso di M. A. Doane sulla perdita della contingenza. La perdita del lavoro è la riacquisizione del tempo della vita, cioè quel tempo che gode dell’incontro con la contingenza, con l’occasionale, l’imprevedibile. Tuttavia il protagonista non riesce più a riempire quel tempo –ormai trasformato in 24 ore, sette giorni per una settimana, e non più il tempo dell’alba e del tramonto.

In conclusione, si può affermare che Fuorigioco è un’opera coraggiosa, realizzata attraverso una produzione low-budget, che si colloca off-side rispetto alla linea di produzione ufficiale del cinema italiano.

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